UBU, Maschera d’argento, David di Donatello, Grolla d’oro, Nastro d’argento: prendete tutti questi importanti premi e moltiplicateli. Sono solo una parte di Mariangela Melato. Lo scorso dicembre il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l’ha anche insignita del Premio Vittorio Gassmann per la sua attività teatrale. Ma nonostante l’indiscusso e cementato successo, la Melato continua a mettersi in discussione, proseguendo in questi ultimi anni con spettacoli da protagonista di livello eccelso: dall’impegnativo e psicologico “Quel che sapeva Maisie” di Ronconi a “Chi ha paura di Virginia Woolf?” con Gabriele Lavia.
Ora, con “Sola me ne vò” – di cui ha scritto anche i testi insieme a Vincenzo Cerami – la Melato parla di sé, della sua vita, della sua carriera, della sua Milano, della sua infanzia. E lo fa con una serie di monologhi, canti e balli, in cui la sua carica esplosiva e la sua professionalità emergono come torri gemelle in un panorama teatrale desertificato. Lei conquista il pubblico e lo coinvolge: domande dirette, luci puntate, buio totale. Attento anche il contorno: sei ottimi ballerini a supporto e scenografie semplici e pulite, con l’orchestra proiettata in uno quadro ovale centrale e una pedana mobile con pianista accompagnatore. La regia, di Giampiero Solari (un nome, una garanzia), è in linea col resto: lineare e pulita. O forse è il resto in linea con la regia, dipende anche dal punto di vista sulla regia.
Un susseguirsi di emozioni e coups de theatre, coi quali passa dal drammatico al comico senza fare una piega, danzando senza un affanno nella voce, asciugandosi solo di quando in quando, l’umano sudore. Sessantadue anni: li ha, ma non li vedi. Vestita semplicemente, illuminata nella sua entrée con un faro a forma di cuore, conquista il pubblico in un batter d’occhi. E’ sempre più bella, sempre più giovane; con quella zazzera bionda e quel fisico asciutto da ventenne, con quella sua sbandierata e sfrenata indipendenza da clichés e convenzioni, racchiude in questo spettacolo tutta la sua essenza: se ne va sola, e non se ne dispiace. Un’ora e quaranta veramente intensa e coinvolgente, magistrale e intelligente. Applausi scroscianti dal pubblico cremonese, per il quale, a sipario calato, la Grande Melato è ormai un’amica, semplice e diafana, aperta e confidenziale: quella con cui bere il caffè, per intenderci. Eccola qui, l’anima del teatro.
Cremona, teatro Ponchielli,
20 febbraio 2007
Visto il
al
Clerici (ex Gran Teatro Morato)
di Brescia
(BS)