Una grande sfida quella del giovane coreografo Francesco Ventriglia che debutta il 21 maggio con un anteprima giovani, e poi dal 27 maggio con repliche fino al 12 giugno alla Scala con una sua nuova creazione intitolata Immemoria inserita nel programma di Trittico Novecento, un omaggio ai grandi compositori russi come Ciaikowski, Prokoviev e Shostakovic e a due grandi capolavori di Gorge Balanchine quali Balletto Imperiale e Il figliol prodigo.
Francesco Ventriglia, considerato ormai uno dei coreografi emergenti della nuova generazione italiana e molto apprezzato anche all’estero, si è formato come danzatore alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala. Ha creato balletti per Roberto Bolle e Svetlana Zakharova e ha fondato una sua compagnia Elaiopoli, con cui ha presentato per la prima volta alla Biennale di Venezia 2007 “Il mare in catene”. Nello stesso anno ha creato a Parigi le coreografie per la cerimonia di presentazione per la candidatura della città di Milano all’ospitalità dell’Expo 2015 e nel 2009 a New York ha rimontato il balletto Black per gli artisti dell’American Ballet Theatre.
Francesco Ventriglia, come è nata l’idea di comporre questo nuovo balletto intitolato “Immemoria”. In memoria di chi è di che cosa? E’ vero che lo spunto che l’ha portata a questa nuova creazione è il tema dell’Olocausto?
E’stato il mio direttore Makhar Vaziev a propormi di creare un balletto basato sulla sinfonia n° 7 Leningrado di Shostakovic, musica che a dire il vero non conoscevo e che ho trovato subito fantastica. Composta nel 1941 durante il bombardamento della città di Leningrado da parte delle truppe naziste, è simbolo di libertà e della disperata lotta contro l’oppressione. Da tempo avevo in mente di trattare il tema dell’Olocausto, ma alla fine questa grande tragedia dell’umanità è rimasta solo la matrice attraverso la quale ho voluto compiere una riflessione sull’uomo e sulla perdita della memoria nella nostra vita di tutti i giorni, dove ormai la parola libertà è usata solo come un prodotto da vendere.
Quindi tengo a precisare che non si tratta di un documento, ma Immemoria vuole raccontare il ricordo, perché l’uomo per attivare il suo processo evolutivo, ha bisogno di non dimenticare e di conservare se stesso attraverso la sua memoria storica. La profondità di questa sinfonia è così profonda e travolgente che ascoltandola non si possono non vedere che dei corpi danzanti. Questo spettacolo non vuole di certo delle risposte ma pone sicuramente molte domande.
Purtroppo gli olocausti non sono finiti, ma con il racconto e il ricordo della storia che abbiamo vissuto, può dare a tutti quanti mille possibilità di cercare mille nuove possibilità di esistenza.
Che tipo di lavoro ha fatto con i danzatori? Possiamo parlare di una tecnica particolare che unisce la danza classica con quella contemporanea?
Preferisco non dare delle definizioni in questo senso, diciamo che insieme ai ballerini abbiamo cercato una scrittura coreografica, una sorta di grammatica che sposasse il senso di tutto quello che volevamo raccontare, cercando dei passi che fossero l’espressone di una motivazione interiore. Ho cercato di togliere tutto quello che poteva essere solo puro movimento estetico e dunque ho cercato una danza che avesse dei contenuti, sicuramente non astratta ma piuttosto narrativa, che racconti qualcosa di molto concreto. Per questa creazione ho lavorato anche dei bambini allievi della Scuola di Ballo della Scala e con loro ho fatto un percorso molto particolare, prima facendo compiere loro una riflessione sul tema dell’Olocausto per capire che cosa sapevano, poi spiegando che l’unica possibilità per sapere e acquisire conoscenze oggi come ieri, non è quella di alzare dei muri, ma di creare dei ponti.
Per questo in scena compaiono degli altissimi muri formati da oggetti, vestiti, e quant’altro?
Sì, la scenografia creata da Angelo Sala è rappresentata da altissimi muri che sono scritture di identità, sono i segni lasciati dagli uomini e dalle donne di quello che erano e che sono. Dietro può nascondersi una qualsiasi città, un non luogo senza tempo e i bambini non sono altro che il ricordo degli adulti che hanno costruito questi muri, mentre il loro compito è proprio quello di abbatterli per conquistare una nuova libertà, perché i muri separano e non uniscono.
Anche i costumi sono dunque simbolici?
Sì, abbiamo cercato di creare dei costumi che avessero una valenza narrativa e dunque non servissero solo a coprire i danzatori in maniera puramente estetica. Quindi la costumista Roberta di Guidi di Bagno, pur ispirandosi agli anni Quaranta, ha creato delle lacerazioni sugli abiti, in modo da rappresentare le lacerazioni dell’identità di un individuo. Io credo che questo spettacolo Immemoria possa essere diverso per ogni occhio che lo vede e ogni cuore che lo sente.