Teatro

Carlo Repetti, il gran finale: ora spazio ai giovani

Carlo Repetti, il gran finale: ora spazio ai giovani

Molti artisti lasciano la carriera nel momento più fortunato, quando la loro espressività è all’apice. E’ la scelta che ha fatto anche Carlo Repetti, che del mondo artistico e teatrale di Genova è stato per quasi 15 anni indiscusso punto di riferimento. Bilanci sempre in pareggio a fronte di un rilevante numero di produzioni annuali, spettacoli in grado di abbinare innovazione e tradizione, grande spazio ai nuovi talenti con mise en espace gratuite al pubblico. Direttore del Teatro Stabile di Genova dal 2000, Repetti lascia a due mesi dalla fine del mandato e all’inizio della stagione che definisce: “ la più emozionante”, con una decina di spettacoli nuovi, da Amadeus di Shaffer al Sindaco del rione Sanità di De Filippo fino a Con l’amore non si scherza di De Musset, interpretati da Eros Pagni, Tullio Solenghi, Ugo Dighero, Aldo Ottobrino, Federico Vanni, Alice Arcuri;  altri sette spettacoli di produzione e una rassegna di drammaturgia.

Carlo Repetti, perché dare le dimissioni prima della naturale scadenza?
Ho lavorato per 45 anni. Il prossimo dicembre il Teatro - ormai al 65 °anno di attività - diventerà Nazionale. E’ il momento giusto per lasciare spazio ai giovani. Tutto qui.

Cosa comporterà l’attribuzione di Teatro Nazionale?
E’ un riconoscimento che onora la qualità del nostro lavoro e il pubblico che da sempre ci sostiene. Certo, ci saranno più obblighi: per esempio quello di aumentare il numero di recite relativo alle produzioni e di rappresentarne l’80 per cento in sede.

La sua ricetta?
Ampliare le proposte per offrire una rosa di titoli ancor più articolata.

Ma il problema dei costi?
Abbiamo imparato a contenerli. Risparmio e qualità non sono aspetti contrastanti. Lo Stabile è un teatro sano nei suoi bilanci oltre che curioso e forte.

Cosa lascia al suo successore?
Un team formato da persone di qualità professionale, morale e artistica. E non mi riferisco solo alle competenze ma ad aspetti legati all’etica del lavoro, alla condivisione degli apporti individuali. E’ così che siamo riusciti ad affrontare la crisi che ha investito il mondo della cultura, ciascuno lavorando per un progetto comune.

Su quali aspetti ha lavorato nel corso della sua direzione?
Ho cercato di offrire innovazione, pur lavorando all’interno della  grande tradizione portata avanti da Ivo Chiesa e da Luigi Squarzina, di cui sono stato allievo negli anni ’70 insieme con il regista Marco Sciaccaluga. Innovare per noi significa avvicinare spettacoli di più elevata complessità al pubblico e non viceversa.

In che modo?
Attraverso la proposta di scritture contemporanee la cui interpretazione sia affidata ad artisti di popolarità: basti pensare al binomio Luca Ronconi- Mariangela Melato o a Samuel Beckett-Ugo Pagliai ed Eros Pagni. Oppure a Benno Besson, che nell’Amore delle tre melarance su testo di Edoardo Sanguineti ha visto in scena Lello Arena. Altro aspetto importante è l’attenzione ai giovani, sia in termini di pubblico sia in termini di proposte, che suddividiamo nei diversi spazi: Teatro della Corte, Duse e fuori stagione alla Piccola Corte.

Producete anche lavori di giovani provenienti dalla Scuola del Teatro Stabile?
La scuola è fucina di talenti, e questo anche nel campo della comicità: basti pensare a Maurizio Crozza, Ugo Dighero, Carla Signoris, per citare alcuni nomi ormai affermati. Vi si diplomano ogni anno una decina di giovani a cui diamo spazio all’interno delle mise en espace alla Piccola Corte; mentre alle giovani produzioni in generale dedichiamo la sala del Duse.

Si dice che Genova sia la città dei teatri: è vero?
Negli anni ’90 la mappa dei teatri genovesi ha subito un importante cambiamento. Oltre ai teatri già esistenti, è stato ricostruito il Carlo Felice; è stato affidato il Gustavo Modena al Teatro dell’Archivolto; il Teatro di Sant’Agostino al Teatro della Tosse; il Politeama - allora una delle sedi dello Stabile - alla gestione privata. Ed è stato costruito il Teatro della Corte. Tutto ciò ha agevolato il disegno delle varie identità teatrali cittadine.

Tornerà a fare il politico?
Sono stato assessore comunale alla cultura per ben due mandati, una parentesi interessante fra l’esperienza di “ragazzo di teatro” nata negli anni ’70 sui banchi di scuola e proseguita come allievo di Ivo Chiesa, e quella di direttore. Ora so solo che voglio dedicarmi alla scrittura. Presto uscirà per Einaudi il mio romanzo “Il ponte di Picaflor”. Poi si vedrà.