Teatro

Corrado d'Elia al Litta con Amleto: 'Sono un anarchico epifanico'

Corrado d'Elia al Litta con Amleto: 'Sono un anarchico epifanico'

Il successo di “Amleto”, nella moderna versione del regista e attore milanese Corrado d’Elia fondatore dei Teatri Possibili in scena in questi giorni al Teatro Litta fino al prossimo 7 dicembre, dura da quasi una decina di anni. Perché questo Amleto in versione writer, con tanto di felpa e cappuccio in testa, orecchino, jeans e scarpe da tennis, che sfoga la sua rabbia scrivendo sui muri di uno spazio claustrofobico di un non luogo di una qualsiasi periferia urbana o di una qualsiasi sala d’aspetto, incarna ancora più che mai la rabbia e la frustrazione dei giovani d’oggi. Lo scontro è quello che avviene da sempre nello scarto generazionale tra genitori e figli. Nel caso di Amleto si  narra di un figlio, principe di Danimarca, che non approva gli intrighi amorosi di una madre smaniosa di potere.
Costruito su sequenze da linguaggio cinematografico, attraverso un montaggio di scene basate sull’alternanza di buio e luce accompagnato da una colonna sonora rigorosamente rock con brani di Marylin Manson, la storia di “Amleto” di Shakespeare rimane sempre e comunque una storia contemporanea.
Corrado d’Elia, questo “Amleto” riveduto e corretto da lei nel doppio ruolo di attore e regista, va in scena da molti anni.

Qual è il segreto del tuo successo e soprattutto questa versione al Litta si differenza da quelle allestite precedentemente?
Cambiano attori e atmosfere, proviamo sempre tantissimo prima dei nuovi debutti, ma l’idea di base è sempre una scelta delle scelte. Nel senso che devi prendere una strada e seguirla fino in fondo. Lo rimetto in piedi ogni volta ma penso che questa sarà l’ultima, perché credo fortemente nel repertorio e “Amleto” fa parte di un progetto dedicato alla contemporaneità di Shakespeare. Sono convinto che Shakespeare sarebbe contento di questa mia versione. Il segreto del successo di questo spettacolo? Dovrebbe chiederlo al pubblico.

A questo proposito, quando scrivi  pensi agli spettatori?
No, quando faccio una regia o scrivo non penso proprio al pubblico. Credo però che il suo affetto verso i miei lavori derivi da una verità che loro riconoscono. Il mio è un incontro con lo scrittore affrontato nel momento in cui lavoro ad una messinscena. Mi definisco comunque un anarchico epifanico.

Il tuo  incontro con il mondo del teatro come è avvenuto?
Esco dalla Paolo Grassi come attore, ma in realtà quello che mi è sempre piaciuto dall’inizio è insegnare, cosa che purtroppo adesso non ho più molto tempo di fare. Diciamo quindi che sono partito dalla pedagogia, dalla necessità di proiettare.

Cosa consigli in questo momento ai giovani che vorrebbero fare il mestiere dell’attore. Tu che esci dalla Paolo Grassi, la consideri ancora una buona scuola?
Una ottima scuola e la consiglio sicuramente ai giovani. Certo è necessario avere un buon terreno di base. E’ importante l’incontro con gli insegnanti, con i compagni che si incontrano in questo percorso. Consiglio ai ragazzi che vogliono fare il mestiere dell’attore una grandissima preparazione, la necessità di prendersi quello che io definisco un tempo solitario. E’ necessario avere una grande generosità  e studiare in aula i propri dolori.

In che genere di teatro credi e a cosa sta lavorando?
Credo in un teatro di interpretazione e non estetico. Attualmente sto lavorando al “Giardino dei ciliegi” di Cechov con Laura Curino che debutterà nel 2015 a Ivrea. Un progetto che durerà due anni.