Dopo un primo anno di tour con entusiastici riscontri ovunque, torna a grande richiesta nei teatri italiani “Open”, lo spettacolo del geniale coreografo statunitense Daniel Ezralow, che sarà al Teatro Nazionale di Milano dal 25 al 30 marzo e in tour dal 19 al 13 aprile in tutta Italia. “Open” è un inno gioioso alla vita e a tutto ciò che essa porta inevitabilmente con sé: dalle frenesie quotidiane all'amore, dalla passione al dolore, dalla rabbia alla gioia. Lo spettacolo si ripropone al pubblico con un’importante novità, ovvero la collaborazione con “Spellbound Contemporary Ballet”, una delle più prestigiose compagnie italiane di danza contemporanea diretta dal coreografo Mauro Astolfi.
Siamo riusciti a intervistare Daniel Ezralow, da poco tornato da Sochi in Russia, dove ha curato le coreografie della cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali 2014.
Sei riuscito a portare la danza di qualità a un grande pubblico, creando un nuovo linguaggio in grado di arrivare in maniera efficace sia agli spettatori che frequentano i teatri, sia a quelli della televisione che magari a teatro ci vanno poco. Recentemente si è trovato anche a dover creare coreografie alle Olimpiadi Invernali di Sochi per un pubblico più propriamente sportivo. Come è stata questa esperienza?
E' stata unica: lavorare con ottocento ballerini succede una volta o due nella vita. Grazie anche all’organizzazione e ai miei assistenti, ne avevo ben tre e siamo riusciti a creare e a ottenere esattamente quello che avevo in mente. Da non dimenticare che il progetto di coreografare è cominciato cinque mesi prima.
Quando crei le tue coreografie, come vediamo in “Open”, spesso parti da situazioni quotidiane, avvenimenti che possono accadere nella vita di tutti i giorni. A volte però ti lasci andare a creare situazioni più oniriche, che lasciano spazio alla fantasia e alla creatività. Quali dei due generi preferisci?
Sicuramente la vita quotidiana è quella che mi affascina di più, creare qualcosa di fantastico attraverso movimenti semplici e ripetitivi, mi da una grande soddisfazione. È ovvio che far sognare il pubblico anche attraverso l’astratto è uno degli obiettivi che un coreografo tenta di ottenere.
I tuoi danzatori hanno tutti delle personalità molto particolari. Cosa cerchi in loro veramente?
Non basta solamente la tecnica e la presenza scenica. Cerco sempre nei miei ballerini la loro vera storia, da dove viene la loro cultura, la loro razza, perché attraverso il loro background puoi lavorare sulla espressione e personalità. Sicuramente la tecnica non é del tutto sufficiente per diventare artisti.
Come vedi la situazione della danza in Italia e più in generale a livello internazionale? Che consigli daresti ai giovani danzatori italiani che vogliono intraprendere la carriera di danzatore? Rimanere in Italia o “emigrare” all’estero?
Non conosco molto della situazione italiana sulla danza, certe volte solo per sentito dire. Posso intuire e immaginare che la situazione non sia rosea! Credo che il danzatore di talento abbia una possibilità in più di un attore, non usa la parola, quindi ha il mondo da esplorare. Il mio consiglio è: “Se non c’è lavoro in Italia forza, prendi la valigia e vai!”.
Come ti sei avvicinato alla danza? Quale è stato il motivo che ti ha portato a intraprendere questa carriera? Una scelta o un caso della vita?
Ho incominciato a diciannove anni, quindi tardissimo, anzi una “mission impossibile” ma ero un atleta dei 400 ostacoli, quindi ero atleticamente preparato, il resto è stata fortuna, determinazione, rischio e spero anche il mio talento.
Open ha avuto un grande successo, ora torni a Milano con una grande novità, la collaborazione con il coreografo Mauro Astolfi e la “Spellbound Contemporary Ballet”. Come vi siete incontrati e avete ancora nuovi progetti in cantiere?
Questa idea mi è subito piaciuta, ho sempre sognato di avere una compagnia stabile. Conosco da anni Mauro Astolfi e credo che la sua sia una compagnia di primissimo livello, lo dimostra il fatto che è una delle compagnie italiane più richieste all’estero. Quando c’è stata questa opportunità l’ho presa al volo e ne sono molto onorato. A tutt’oggi di progetti non ne abbiamo, ma vogliamo che questa esperienza di “Open” crei le basi per altri progetti futuri.
Perché “Open” piace così tanto al pubblico?
Bella domanda, non tocca a me dirlo. A me interessa che piaccia e la più grande gratificazione è comunque che non esistono formule matematiche! Se avessi una formula del successo, non la rivelerei. Puoi capire la concorrenza…