In scena con lo spettacolo "Coltelli nelle galline", in questa intervista, la modella e attrice siciliana ci racconta dei suoi progetti presenti e futuri, tra cui il teatro.
Incontriamo Eva Riccobono, in scena in questi giorni al Teatro Franco Parenti di Milano con Coltelli nelle galline per la regia di Andrée Ruth Shammah. Progetti, idee, impegni presenti e futuri, alla luce di una carriera ricca di scelte spesso difficili e impegnative. E tra queste il teatro.
Modella, attrice di cinema, conduttrice, ora il teatro che per molti è innanzitutto una vocazione. Cos’è stato a farla salire sul palco?
E’ vero ho fatto l’attrice di cinema, la modella e la conduttrice, ma ciò che mi mancava era sicuramente la vera recitazione, quella che del teatro. Sono sempre stata una grande spettatrice di spettacoli teatrali e ho sempre ammirato gli attori di teatro che hanno una marcia in più. Ma era anche una cosa che mi faceva molta paura e io in genere vado dove c’è paura. E così ho deciso di intraprendere questo percorso, poi ho avuto la fortuna di incontrare Andrée Ruth Shammah e tra noi è nato un vero e proprio feeling.
Che cosa la lega alla Shammah, dato che questo è già il secondo spettacolo che fa con lei?
Inizialmente volevamo lavorare su uno spettacolo che parlasse della fragilità e della follia. Io ho sempre avuto stima del suo lavore e quando l’ho incontrata le ho subito detto che non avrei mai osato pensare di lavorare con lei. Il nostro legame è probabilmente più personale che artistico, è una donna che stimo moltissimo, un’artista che stimo moltissimo e mi sono ritrovato ad avere un attaccamento nei suoi confronti proprio nell’essere donna.
Per INFO, DATE, BIGLIETTI: Coltelli nelle galline (Scheda Spettacolo)
Cosa hanno in comune il brivido della passerella e il brivido del palcoscenico?
Sono molto differenti tra loro. La passerella dura quindici minuti, non c’è niente di personale, non dai te stessa al cento per cento, sei colei che porta un abito. In teatro sei colei che porta una storia e un personaggio, è molto più complesso e si sta sul palco molto di più, in questo caso io sto un’ora e quaranta minuti senza mai uscire di scena e questo mi terrorizzava.
Parliamo di questo spettacolo e in particolare del lavoro sul corpo insieme a Ida Traversi.
Il lavoro sul corpo con Ida Traversi, con la quale avevo già collaborato in “Stasera si può entrare fuori”, mi ha aiutato molto. Io, in verità, sono molto fisica, il lavoro della modella è un lavoro molto fisico e da questo ho potuto attingere per trasformare il mio corpo, che solitamente viene riconosciuto come elegante proprio per la mia immagine da modella, in quello di una contadina. E per questo c’è stato un grande lavoro: parlo con la mandibola in avanti, modifico la voce, il corpo ha una postura assolutamente innaturale.
Che cosa c’è di particolare in questo testo che l’ha attratta?
Di questo testo mi sono innamorata immediatamente, perché è un testo sulla ricerca delle parole, dell’Io e dell’autostima, è una storia antica che può essere moderna ed è assolutamente al femminile. Anche oggi la donna, in molti paesi, ha un ruolo minore rispetto all’uomo. In questo testo, ambientato tra il ‘600 e il ‘700 in un mondo di contadini, la donna protagonista ha grandi difficoltà nel cercare le parole, ma è spinta da grande curiosità e dice delle cose molto semplici ma al tempo stesso profonde. Si interroga sui nomi delle cose e sul loro rapporto, riconoscendo che esse sono in continuo cambiamento. Ogni volta che le guardo le cose cambiano, dice. Mi è sembrato che questo personaggio andasse nella direzione della mia ricerca personale.
Lei ha una sua particolare attenzione per la sfera della psiche. Il teatro va in questa direzione?
Tantissimo. Ho intrapreso una bella lotta contro me stessa per fare questo personaggio. Ho avuto anche molta paura, ho pensato mille volte di rinunciare, perché sei costretta ad aprirti, fare riflessioni con te stessa quando non sempre vorresti. In assoluto la recitazione nasce da un lavoro di ricerca psicologica ed è questo che poi realmente affascina.
Parliamo di progetti futuri. Ci sono altri spettacoli all'orizzonte?
Per il momento no, ma sicuramente vorrei farne ancora degli altri, perché ho sentito un’adrenalina, un calore che hanno reso questa esperienza magica. Vorrei migliorarmi, io non mi sento sicuramente un’attrice arrivata, devo ancora imparare molto.
A questo proposito, quale può essere l’insegnamento che, secondo lei, trasmette il teatro?
Sicuramente per uno spettatore è quello di ritrovarsi in una storia, la storia che noi come attori raccontiamo. Quando sono spettatrice mi piace immergermi in storie diverse e lontane da me. Anche per un attore dipende da quello che porta in scena, ogni personaggio ti lascia qualcosa. Un’altra cosa che mi colpisce molto è essere live ogni giorno, ogni giorno lo spettacolo è un po’ diverso, ogni giorno capisci qualcosa del tuo personaggio. In questo, senza dubbio, sta la magia del teatro.
In definitiva lei si ritiene soddisfatta della sua carriera? Sotto tutti i punti di vista?
Io mi sento fortunata, perché sono soddisfatta e allo stesso tempo grata per tutto quello che ho avuto. Per questo interpreto il mio lavoro come una ricerca personale. E’ stata una fortuna lavorare in questo spettacolo in due festival come Napoli e Spoleto. Per me è un grandissimo risultato: essere riuscita ad affrontare tutto con grande serenità e circondata da grande affetto, grazie a Pietro Micci e Alberto Astori, due attori straordinari con una carriera trentennale alle spalle. Mi hanno insegnato moltissimo e io mi sono messa sempre con grande umiltà nelle loro mani, ho chiesto scusa sin dall'inizio per tutti gli errori che avrei commesso, ma ho visto da parte loro un’umanità e una gentilezza che mi hanno lasciato senza parole.
Qual è stata la sua principale paura prima di salire sul palco? Soprattutto in due festival così importanti come Napoli e Spoleto.
Per assurdo non è mai stata il pubblico. Per la mia storia, era molto rischioso salire sul palco in due festival così importanti. Il rischio non era tanto quello di fallire, ma di ricevere più critiche del dovuto. La mia era una paura di prestazione con me stessa, adesso invece mi sento abbastanza disinvolta, guardo il pubblico e questo mi aiuta tantissimo. A volte la paura è anche quella di non avere abbastanza energia, un’ora e quaranta sul palco senza mai uscire per una principiante può essere davvero tanto. Una sera ho avuta anche una specie di paralisi alle braccia per iperventilazione, ma sono riuscita a portare avanti il mio personaggio, controllando il deficit che mi era capitato in scena. In teatro, a differenza del cinema, non puoi fermarti, non hai il tempo. Questa forse per me è stata la paura più grande, ma anche la più grande spinta in avanti.
Per INFO, DATE, BIGLIETTI: Coltelli nelle galline (Scheda Spettacolo)