Ha vinto un David di Donatello nel 2000 come miglior attrice per la sua interpretazione da protagonista nel film Pane e tulipani, diretto da Silvio Soldini, eppure Licia Maglietta ha iniziato col teatro nel 1982, dopo essersi laureata in architettura. Napoletana, bella e brava, lavora tra gli altri con Carlo Cecchi nei primi anni ’90 e nel 1995 interpreta Delirio amoroso, un monologo scritto da Alda Merini, poetessa vivente italiana molto amata. Oggi Licia è, fino al 30 novembre, al Piccolo Teatro Studio di Milano con un nuovo monologo, Manca la domenica, di cui è scenografa, regista e protagonista di un esilarante racconto minimalista, straordinariamente offerto agli spettatori che ne restano lentamente rapiti. L’accompagna sul palco un fantasioso musicista maestro del bayan, la fisarmonica russa solo a bottoni, Vladimir Denissenkov. La trama ci conduce a conoscere Borina, donna siciliana poco bella anzi scartata dai più. Trova un uomo brutto e disponibile al matrimonio: lui andrà in Australia dopo soli otto mesi dalle nozze per non dare più notizie di sé. Lei comincerà a credersi vedova, condizione attraente per via della dignità sociale in cui si sentirà proiettata, a punto tale da favorire una vita nuova e piena di soddisfazioni. Ma le cose dovranno cambiare quando…
Licia, come fa ha fatto a trovare una storia così incredibile e fantastica?
Io conoscevo l’autrice Silvana Grasso perché avevo letto dei suoi romanzi, come Disio e La pupa di zucchero e poi avevo letto l’anno scorso Pazza e la luna, una raccolta di racconti per Einaudi e vi ho trovato Manca solo la domenica, che ho trovato stupendo. Era scritto in terza persona ma l’ho letto subito come un monologo. Inoltre avevo da tempo voglia di recitare con un musicista.
Già, è sola ma con un bravissimo fisarmonicista sul palco. Come mai?
Grande coincidenza: Vladimir Denissenkov lo avevo già ascoltato da solo e con Moni Ovadia altre volte. Io amo la fisarmonica come strumento e lui è straordinario e avevo provato a chiedergli se avesse voglia di partecipare a un progetto con un attore che ogni tanto interrompe un monologo con un po’ di musica. Insomma, improvvisare uno spettacolo in dialogo. Credo che abbia la struttura di un’opera lirica e a lui questo progetto è piaciuto molto e abbiamo cominciato a lavorarci.
Quali spettacoli ha molto amato in precedenza?
Guardi, ho amato anche altri spettacoli, soprattutto quello finito la scorsa stagione, tratto da un racconto di John Berger, saggista, col quale avevo avuto rapporti una volta in Europa e che spero di poter riprendere. Anche lui è un’altra persona straordinaria. Ma è da tanto tempo che lavoro così, come ho fatto con Alda Merini: prima di tutto scelgo personaggi che vengano anche dalla letteratura, non precisamente dal teatro e soprattutto anche dalla letteratura contemporanea, perché mi interessa molto cercare cosa c’è di nuovo nella letteratura, nuovo anche per il teatro. In Italia non c’è una tradizione di drammaturgia contemporanea come in Inghilterra, ad esempio e mi interessa andare alla ricerca un po’ di questo.
Trova semplice fare cose così belle, come questa pièce?
Le assicuro che è un momento molto difficile, complicato. No, non è semplice fare cose belle, di un certo tipo, si fa fatica, non si è quasi mai ripagati immediatamente.
E col cinema come si sente?
No, guardi, non faccio cinema perché non ho letto cose che mi interessino o forse non me le hanno proposte. Il problema è che è molto difficile… L’immaginario italiano è molto al maschile e personaggi al femminile forse non esistono quasi più, credo siano usciti in soli due film questo anno. Ho fatto una statistica e negli ultimi 15 anni circa ne ho trovati da contare sulle dita di una sola mano, film per donne. Avrei anche voluto divulgarli, questi dati. Purtroppo è così e c’è poco da fare. Siamo costretti a inginocchiarci e quando arrivano attrici come Isabelle Huppert a fare letture, ecco la grande attrice osannata… Ma da noi non si osannano le vere e brave attrici che abbiamo e soprattutto non le viene offerto di lavorare. Un bravo attore e una brava attrice diventano tali se gli si dà il tempo di fare esperienza, ma se non c’è lavoro come si fa. Un film ogni due tre anni è diverso che un film all’anno, che sarebbe già un buon bagaglio da avere. Ma questa società non è capace di capire e difendere i grandi talenti che esistono in questa nostra Italia.
Ti dedichi tanto al lavoro eppure dovresti avere anche una vita tua, no?
Io ho un privato importantissimo, è l’altra metà della mia vita che in assoluto sono disposta a mettere prima di ogni altra cosa, se ci fossero problemi. Ma l’altra metà è il teatro. Cerco di coprire di privacy tutto ciò che è la mia vita fuori dal lavoro, eppure sanno tutti che ho dei figli.
Credi possano seguire le tue orme nel lavoro?
No e sono felice che abbiano le loro vite e le loro passioni. Non le appoggerei se volessero entrare nel mondo dell’arte, ma non perché non lo consiglierei a nessuno: è una parte così vitale della mia vita che potrei intuire e capire la passione di un giovane per il teatro e l’arte. Solo che è qualcosa di molto molto difficile, se fatta come dovrebbe essere fatta. Dare una voce importante a questa società significa essere pronti a sapere che anche se la tua voce dice qualcosa agli altri, devi capire che questi altri potrebbero essere solo cinque o dieci e tu devi continuare a parlare solo per loro.
Beh, il Piccolo Studio era stracolmo e io ti auguro di continuare non solo ad avere successo ma ad essere sempre così: non cambiare, continua e farci sognare.
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