Che la gente dei paesi da cui si leva il Sole vada matta per il canto lirico non è un segreto. Milano da anni letteralmente pullula di aspiranti Pavarotti, Mateuzzi e Callas dagli occhi a mandorla. Per capirne il motivo e anche per conoscere uno di loro ci siamo incontrati con il baritono Matteo Jin, coreano, classe 1987, il cui nome negli ultimi tre anni sempre più spesso appare sulle locandine dei teatri milanesi e non solo. Vincitore di diversi concorsi, nonostante la giovane età, ha già alle spalle una dozzina di opere cantate e un nutrito repertorio pronto per essere portato sul palco.
Prima di tutto, potresti svelarmi i il tuo vero nome?
«Jin Won Chung».
Con Matteo c’entra ben poco...
«E’ stata l’idea del mio maestro. Mi piace ».
Che studi musicali hai fatto in Corea?
«Mi sono diplomato al liceo musicale di Seul con indirizzo canto».
La musica orientale tradizionale è molto diversa da quella europea. Come mai avete la passione così grande per il canto lirico e l’opera in generale?
«Noi, coreani, amiamo tantissimo cantare e quasi sempre, dopo una cena in famiglia o in compagnia di amici, andiamo in qualche locale dove si fa karaoke. Da noi ce ne sono moltissimi. Forse tanti quanti i bar in Italia».
Vi si può cantare anche delle arie, ad esempio, della “Traviata” o della “Cavalleria Rusticana”?
«In realtà, inizialmente io volevo fare il cantante leggero e ho chiesto alla mamma cosa ne pensava. Lei mi ha detto che prima dovevo imparare il canto lirico».
Nella tua famiglia ci sono dei musicisti?
«No, nessuno. Mia mamma, però, e soltanto lei è una grande estimatrice della musica classica. Ha tantissimi dischi di Pavarotti, di Callas...».
Il liceo musicale è stata una sua idea?
«No, del mio maestro».
Da bambino hai studiato qualche strumento?
«Mia mamma ha tentato di farmi imparare il pianoforte, ma io non ne avevo la pazienza. Sedere su una sedia per studiare uno strumento non faceva per me. Anche perché prima ancora di sognare di diventare cantante volevo fare il calciatore. Con la nostra squadra siamo andati persino alle nazionali della categoria under 12. Ma poi mi sono fatto male a un ginocchio e ho dovuto smettere».
E sei passato direttamente dal pallone al canto?
«Ho cominciato a cantare in un coro con il quale siamo andati in Polonia per partecipare al festival di Poznan. Il direttore, al quale piaceva molto la mia voce, mi ha affidato la parte da solista ne “Il Panis Angelicus”. Dopo più di dieci concerti il direttore del festival mi ha proposto di restare in Polonia per studiare in un liceo specializzato. Ma all’epoca avevo solo 14 anni e non me la sentivo ancora di lasciare la mi casa. Tornando in Corea, però, ho continuato a pensare a questo mio “successo” e, alla fine, ho deciso di prendere delle lezioni private di canto, quindi di dare gli esami di ammissione al liceo. Era un istituto molto rinomato, dal quale sono usciti molti i nostri celebri cantanti lirici».
Come è stato il tuo arrivo in Italia?
«Appena arrivato, mi sono iscritto all’istituto superiore di studi musicali Franco Vittadini di Pavia e contemporaneamente ho cominciato a partecipare ai concorsi, molti dei quali li ho vinti - “Luigi Giulotto”, 2008, 1 premio, “Citta di Asti”, 2009, 1 premio, “Porana Lirica”, 2008, 2 premio, “Moncalvo in canto”, 2012, 3 premio - oppure ho ottenuto riconoscimenti o premi speciali. Poi mi sono trasferito al conservatorio Verdi. Ad oggi per diplomarmi mi manca solo l’esame di canto».
Chi sono stati i tuoi insegnanti?
«Fino a adesso ho studiato con Fiorella Pediconi, Umberto Grilli, Riccardo Serenelli e soprattutto con Enrico Zucca».
Ti è già capitato di cantare in Corea?
«Ancora no».
Pensi prima o poi di tornare?
«E difficile dirlo. Per ora vorrei restare in Italia».
Ci sono le prospettive di carriera nel tuo paese d’origine?
«Vivendo qua, non conosco bene il mondo operistico in Corea. Gli amici che vi hanno fatto qualche esperienza mi dicono che è molto, molto chiuso per chi non ha una laurea di un conservatorio coreano. C’è una sola strada alternativa che consiste nell’essere presentato dal direttore di un teatro italiano. Insomma, è un mondo difficile».
E' più difficile di quello italiano?
«Fino ad adesso, in Italia, sono entrato a far parte delle produzioni per mezzo delle audizioni. Qualche volta sono stato richiamato perché, probabilmente, ho cantato bene. Anche in Corea ci sono, ma per come la vedo io, a differenza dell’Italia, laggiù per classificarsi è più importante avere un titolo di studio piuttosto che talento e una bella voce. Qui invece conosco diversi validissimi cantanti che non hanno mai ottenuto alcun diploma».
Sì, le opportunità di audizioni, soprattutto a Milano, non mancano. Il problema è che spesso le compagnie non pagano oppure sin dall’inizio ti propongono un contratto non retribuito…
«Io gratis non canto. E’ giusto fare la gavetta, ma è il lavoro di cui vivo. Infatti, il mese scorso dovevo cantare ne “Il Trovatore” a Milano, ma siccome la compagnia non mi ha pagato la produzione precedente, ho disdetto».
In totale, a quante opere hai partecipato fino a adesso?
«Per ora ho fatto 11 o 12 ruoli da protagonista».
Non è male per la tua giovane età. Che cosa stai preparando in questo momento?
«La parte di Rodrigo nel “Don Carlos” che portiamo in Spagna a metà marzo».
A novembre scorso per la prima volta hai calcato i palchi di Londra nel ruolo di Amonasro. Com’è andata?
«E’ stata una bella esperienza. Devo dire però che il pubblico italiano mi piace di più. Lo trovo molto più caldo e rispettoso».
La tua parte preferita?
«Mi piacciono molto le parti di Rigoletto, Figaro e Tonio dei “Pagliacci”. In generale, mi sento molto di più a mio agio nei ruoli drammatici, per contro credo di non essere assolutamente portato per quelli degli amanti. Anche perché le parti romantiche quasi sempre toccano ai tenori, mentre a noi baritoni restano quelle dei cattivi come Amonasro nell'Aida o lo stesso Tonio. Ma, al di là delle predilezioni, bisogna essere obiettivi per quel che riguarda gli aspetti fisici. Perché, a parte la voce, l’opera è soprattutto teatro. Sono sicuro che nessun regista mi chiederà mai di cantare, per esempio, Falstaff perché per quel ruolo serve un omone alto e grosso».
C’è qualcosa che vorresti cantare assolutamente?
«Il mio sogno, in parte, l’ho già realizzato. Sono riuscito a cantare Rigoletto. Ora vorrei farlo all’Arena di Verona».
Anche se non sono rappresentate spesso, esistono anche le opere moderne. Ti è capitato di cantare qualcosa del repertorio contemporaneo?
«Per ora no. Devo dire anche che, per quello che ho sentito finora, le opere moderne non mi piacciono».
E non ti piacerebbe – parlando sempre del genere operistico - vedere sul palco qualcosa scritto da un tuo coetaneo, più vicino ai tempi nostri?
«Sono più per il repertorio classico. Penso che le vecchie opere possano riacquistare benissimo la loro attualità attraverso la regia. Questo, fra l’altro, aiuterebbe molto a rendere il teatro d’opera più attraente per i giovani. Per esempio, trovo molto moderno “Il Barbiere” che abbiamo fatto a febbraio con Gianmaria Aliverta al Rosetum. Prima di questa messinscena ho fatto 24 recite di Figaro in altri teatri, ma mai prima mi è capitato di entrare in scena con uno skateboard».
Già, anche la scelta di un cantante asiatico per la parte di Figaro, con tutti i parrucchieri cinesi che ci sono a Milano, è stata un trovata sicuramente a passo coi tempi...
«Io sono un coreano, però (ride)».
Ci sono i ruoli per le quali non ti senti ancora pronto?
«Scarpia della «Tosca» e anche Jago di «Otello». Tecnicamente potrei cantarle anche adesso. Ma queste opere richiedono un baritono molto drammatico con una voce molto potente come, per esempio, quella di Ambrogio Maestri. Devo aspettare ancora qualche anno prima che la mia voce maturi a tal punto».
Nel tempo libero che genere di musica ascolti?
«Non ascolto niente da un paio d’anni. Sono una persona che imita molto facilmente e ho capito che per me questo poò essere molto pericoloso perché rischio di perdere la mia individualità».
Vai a fare karaoke qualche volta?
«Ce ne sono anche qui? Non li ho mai visti. A dir la verità, non avrei neanche voglia. Vado già tutti i giorni a studiare canto dal mio maestro».
Come vedi la tua carriera tra 10 anni?
«Non saprei. La vita di noi cantanti è così imprevedibile... Sicuramente mi piacerebbe esibirmi nei grandi teatri. Per ora per me è importante cantare e stare sul palco».