Una stagione che privilegia la danza quella che il Carlo Felice propone al pubblico: otto titoli di lirica e dieci titoli di balletto che spaziano da Gaetano Donizetti a Benjamin Britten, da Marius Petipa ad Alvin Ailey. Maurizio Roi, neosovrintendente dell’ente lirico-sinfonico genovese, è convinto: restituire al Teatro la sua identità significa riprendere la tradizione della danza, da anni trascurata. A fronte però di un’apertura brillante con L’Elisir D’Amore, romantica e virtuosa con La Bayadère, la situazione della Fondazione lirico-sinfonica non lascia adito a sorrisi e sogni ad occhi aperti. Il bel Teatro deve risanare un passivo di oltre cinque milioni di euro.
Maurizio Roi, che impulso intende dare al teatro nei prossimi mesi?
A teatro ci sono due cose che vengono prima di ogni altra: mettere in scena spettacoli e portare a teatro quanti più spettatori possibili. Questi sono i due semplici aspetti in cui mi impegnerò nel corso dei prossimi mesi. Naturalmente per poterlo fare occorre lavorare al risanamento economico e finanziario del Carlo Felice e al piano strategico per accedere ai prestiti previsti dalla legge Bray.
La stagione presenta molta danza. Da quattro titoli si passa a dieci: un nuovo corso?
L’attività del teatro contiene i filoni di lavoro su cui il teatro stesso può costruire la sua identità: il Concorso Paganini, con l’impegno generoso del direttore d’orchestra Fabio Luisi; il mix tra opera di tradizione e popolare, con la presenza di titoli del ‘900. La danza, che riprende la grande storia del Festival di Nervi e per il Carlo Felice è una vocazione dalla tradizione antica.
Qual è la peculiarità del Carlo Felice rispetto agli altri enti?
Le peculiarità sono tante, innanzitutto rappresentate dalle caratteristiche della città di Genova: di media grandezza, portuale, con un occhio all’America, in una regione dai collegamenti non semplicissimi. In Liguria, oltre al Carlo Felice, realtà significative sono l’Opera Giocosa a Savona e l’Orchestra di San Remo; poi, naturalmente, la GOG, Giovine Orchestra Genovese che costituisce una delle eccellenze nazionali di cui ospitiamo la stagione. Insomma, per questi motivi è necessario lavorare in un’ottica regionale, sia per il pubblico sia per l’attività delle nostre masse artistiche.
C’è la possibilità che il suo si trasformi in un incarico pieno?
Il mio incarico scadrà con l’approvazione del nuovo Statuto, così come prevede la legge Bray, e comunque al 31 dicembre 2014. Dopo quella data Sindaco e Ministro individueranno il nuovo sovrintendente.
Gli enti lirico-sinfonici stanno vivendo una situazione drammatica: come pensa di affrontare il problema del passivo in bilancio?
Tutte le Fondazioni liriche sono in grande difficoltà. Ci stiamo preparando ad accedere ai fondi della legge Bray: oltre a questo non vedo altra soluzione che lavorare per spendere meno e incassare di più.
L’Emilia Romagna, da cui proviene, è terra di teatri. Cosa si porta dietro di quel vissuto professionale?
E vero. L’Emilia Romagna è terra di opera e spettacolo. Sono molti anni che mi occupo di importanti strutture della mia regione. E’ lì che ho imparato che la cultura è un diritto e una risorsa. Ma soprattutto che il teatro è un servizio pubblico e un modo per capire il mondo e la vita.