Teatro

Moni Ovadia si racconta con Oylem Goylem: "Non smetterò mai di sognare"

Moni Ovadia
Moni Ovadia

"Io non smetterò di sognare finché vivo. Intendo continuare a trasmettere la mia chiave stilistica, come musicista, interprete e drammaturgo"

Moni Ovadia e la Stage Orchestra presentano Oylem Goylem, definito uno spettacolo-cult, un 'cabaret yiddish' con cui Ovadia da ben 15 anni raccoglie consensi da parte di un pubblico sempre più divertito e interessato ad ascoltare le sue battute, le barzellette, i canti e quel pregevole mix di emozioni prodotti dalla musica klezmer. 

Con lui sul palco ci sono Maurizio Dehò al violino, Luca Garlaschelli al contrabbasso, Emilio Vallorani al flauto, Massimo Marcer alla tromba, Paolo Rocca al clarinetto, Albert Mihai alla fisarmonica e Marian Serban al cymbalon. 

GLI SPETTACOLI 
IN SCENA IN ITALIA

Attore, cantante e compositore, Moni Ovadia è nato in Bulgaria da una famiglia migrata a Milano quando lui era piccolissimo e qui è cresciuto. La sua origine ebraica sefardita ha condizionato la sua opera di artista e di uomo. Laureatosi alla Statale di Milano in scienze politiche, ha iniziato a cantare e comporre musica nel gruppo Almanacco Popolare ma, fondando il Gruppo Folk Internazionale nel 1972, propone un repertorio di musiche originali delle regioni balcaniche. 

Poliedrico, occupatissimo ma sempre gentile con tutti, Moni Ovadia ci ha parlato in un momento in cui il suo privato sta incontrando delle difficoltà che lo hanno parecchio esaurito, eppure bastano poche battute per fargli ritrovare tutta la sua grinta. 


Perché da 15 anni riproponi il cabaret Yiddish?
Perché non è un linguaggio obsoleto e la musica klezmer è diventata un fenomeno popolare. Ci sono centinaia di migliaia di persone che ascoltano questa musica. Il mio spettacolo parla della goffaggine degli uomini emplici, Oylem Goylem significa 'Mondo sciocco', contiene l’umorismo autodelatorio: si confronta con la vita ma anche con l’atrocità dell’olocausto. E il pubblico ci sta tributando ovazioni da stadio. 

Cosa riesci ad esprimere con questo Cabaret?
Mi permette di costruire una dimensione etica, di portare a riflessioni una cultura eterodossa per comunicare a un intero mondo, a più livelli. A un mondo che ha subìto un destino tragico ma ha impollinato tanti Paesi europei fino agli Stati Uniti. Il mondo ebraico, specie quello arrivato dall’est europeo, è un mainstrem della cultura americana. 

Credi che la gente capisca le tue intenzioni?
Alcuni capiscono, altri no. Alcuni si confrontano solo con la fragilità di questa umanità e scoprono la dimensione dello straniero. C'è chi lo intuisce. Non so davvero cosa pensa il pubblico, so che questo spettacolo ha un successo iperbolico. La gente lo viene a vedere due o tre volte e non lo so il perché. 

Beh, io ho sentito dire che emoziona e commuove...
Credo sia questo lo scopo del teatro, commuovere ed emozionare. Succede perché parlo di cose universali, che appartengono a ebrei e non ebrei. Mi rivolgo a quelli che non hanno coltivato il rigurgito del nazionalismo, che rigettano il culto del nazionalsocialista. 

Come mai credi che in Medio Oriente la guerra appaia inevitabile?
A causa dell’involuzione che si vive in Israele, perché l’ebraisomo israeliano si è ripiegato su un tipo di nazionalismo. Ci sono cose per la sicurezza e queste le capisco, ma l’occupazione di terra altrui che c'entra? Fare gli occupanti per 40 anni non è inerente alla sicurezza. Oppure si dovrebbero far diventare israeliani anche i palestini. Se no cosa fai, li deporti? Lo chiamano transfert ma si chiama deportazione. 

E la soluzione?
L’unica soluzione sarebbe la creazione dello Stato Palestinese. Non m'importa dire cose che suonano contrarie a quanto dicono nella maggioranza ma, anche se sono in minoranza, come fu Mosè, credo che bisognerebbe dare vita a un vero Stato, con responsabilità, con confini. 


Se non sbaglio ci hanno provato in tanti ma non ha mai funzionato, per il vizio di considerare Israele come un luogo che non dovrebbe affatto esistere, secondo molti.
Io credo che solo una minoranza vorrebbe distruggere Israele. Ma l’eradicazione di olivi a che serve? Succedono cose assurde da tutte le parti e per motivi forse molto più meschini di quanto non si creda. Il razionamento dell’acqua serve? Ci sono vessazioni infinite. Isrele dovrebbe ritirarsi sulla Green Line e il primo che prova a toccarci si aspetti terribili risposte. Però ci sono territori che non sono nostri, ma non ci togliamo di qui finchè non smettono i missili. 

Insomma, difendi i palestinesi?
Ma se nessuno li difende... Non sanno comportarsi bene, si dice, ma voglio vedere altri, dopo 40 anni di occupazione, come si comporterebbero. Intanto nel mondo cresce l’odio per gli israeliani in modo esponenziale. Non sarebbe meglio trattare? Comincio a diventare molto pessimista, ho paura che finirà male, molto male, specie se con questi ultimi bombardamenti dovesse esserci una strage. 

Cosa intendi fare ancora?
Io non smetterò di sognare finché vivo. Intendo continuare a trasmettere la mia chiave stilistica, come musicista, interprete e drammaturgo: ho un progetto di scuola e nuovi spettacoli. Vorrei fondare un teatro delle minoranze, vorrei fare ancora del cinema. Ma soprattutto vorrei vivere in un mondo dove uguaglianza e giustizia siano possibili. 

Come?
Non ho tessere di partito ma sono un militante di sinistra. Stiamo provando a fare un movimento nuovo, di link, pragmatico, come hanno saputo fare tantissime persone in Germania, dove hanno creato il terzo partito. Se non ci riusciremo nei prossimi tempi io abbandono, toccherà alla prossima generazione. Io mi dedicherò ancora a grandi battaglie per i diritti civili ma non con partiti bensì da libero battitore. Però adesso sto dando una mano a far nascere una sinistra democratica che dia parola alla gente. Abbiamo fatto un’assemblea dove hanno parlato solo cittadini. Sono state dette molte cose interessanti, c’è molta voglia di dare alla sinistra un senso nuovo. 

Tornando a te: preferisci raccontare, cantare, comporre, scrivere o ballare?
A me piace molto stare sul palcoscenico qualunque cosa faccia, purchè si faccia insieme. A me piace tutto e soprattutto ideare, progettare questi eventi scenici, inventarli e anche interpretarli! Ci sto bene sul palco, sono a casa mia. 

Credi possibile inventare un futuro migliore?
Io credo che non esista un futuro senza la consapevolezza di chi siamo. Il mio teatro guarda al futuro perhè gli ebrei hanno prefigurato il futuro con un’umanità lancinante, non attraverso l’economia dei mercati. Inoltre, è utile approfondire la cultura dell’esilio perché vivremo in pace solo se impareremo a diventare stranieri a noi stessi. 

Come sarebbe a dire?
L’ebraismo ha dato una lezione stupenda sulla vita nell’esilio, sia spiritualmente sia culturalmente, anche attraverso una grande umanità. Caratteristiche indispensabili per vivere la globalizzazione nell’esilio. 

Cos'è la globalizzazione dell'esilio?
Ha aspetti deteriori e aspetti positivi, come l’incontro con la diversità, mentre l'aspetto negativo è l’omologazione. Gli ebrei hanno saputo vivere senza perdere se stessi perché non avevano una patria fatta da un Muro del Pianto, ma avevano una patria che si chiamava Torà.