Se Pasolini passeggiasse oggi a Milano, sarebbe lusingato nel vedere quanti gli hanno dedicato degli spettacoli. Oliviero Beha è salito sul palco dello Spazio Mil per ricordare le idee del poeta che hanno segnato decenni di vita italiana con la loro critica caustica. Ha così rilanciato un suo messaggio di ribellione nella speranza che venga raccolto. Il Teatro dei Filodrammatici ha poi ospitato due straordinari attori, un lui e una lei che hanno trascorso sei mesi in Friuli ritrovando e studiando chi conobbe Pasolini e ancora racconta di lui, magari solo in alcuni scritti. Con la dolcezza evocata da Giulietta Masina e Anthony Quinn ne ‘La strada’ di Fellini, con la medesima carica di povertà, disperazione, ingenuità e amore, Alberto Astorri e Paola Tintinelli hanno riportato in vita i concetti di vita di Pier Paolo Pasolini quando descriveva le macerie, la gente semplice dei sobborghi e di chi vive con nulla. C’è poi la splendida Maddalena Crippa che propone tuttora al Teatro Oscar le parole altamente poetiche dei Canti Popolari, genialmente affiancata da un musicista unico nel suo genere, Paolo Schianchi.
Ma forse, dovendo scegliere, Pasolini sarebbe felice di immergersi nella sala del Teatro Leonardo dove, fino al 15 marzo e in mezzo a una platea colma di giovani che schiamazzano allegramente, è in scena Il Vantone, una pièce che Pasolini scrisse ispirandosi al Miles Gloriosus di Plauto, in cui l’autore di ‘Ragazzi di vita’ riporta la volgarità antica e la propone nella Roma borgatara di metà Novecento. Roberto Valerio, una promessa mantenuta del nostro teatro giovane, dirige con mano felice e leggera un’opera corale e interpreta il protagonista, che non è il vantone ma un suo servo, capace di imbrogliarlo grazie alla sua furbizia, che farà fuggire una servetta col proprio amante, sistemerà ogni problema con astuzia e otterrà la libertà per se stesso. Tutto questo in un palco spoglio ma capace di farci sognare l’avanspettacolo che non c’è grazie al progetto scenico di Giorgio Gori, alle luci coinvolgenti di Emiliano Pona ma soprattutto grazie alla prova d’attore di Roberto Valerio, che dirige in modo ineccepibile i bravissimi compagni di palcoscenico: Francesco Filetti, Massimo Grigò, Roberta Mattei, Michele Nani e Nicola Rignanese. E’ una novità in prima nazionale prodotta da Teatridthalia con l’Associazione Teatrale Pistoiese ed è Valerio in persona a parlarci.
Perché hai scelto questo testo?
Il Vantone è stato fatto poco, era caduto nel dimenticatoio, era diventato uno spettacolo da estive, da baraccone.
Come mai hai voluto metterlo in scena, allora?
Io vivo nei luoghi dove Pasolini ha girato i suoi film, come Mamma Roma e ho forti legami con un mondo che mi appartiene. Poi il testo mi piace moltissimo, quello che Pasolini chiama ‘traslazione’, che è un linguaggio inventato, a metà tra il Belli e i Martelliani di Molière, che lui ha usato perché lo considerava legato all’avanspettacolo dell’epoca. Infatti ci sono spunti collegati a Petrolini, ai varietà tipo Delia Scala, c’è una fanciulla che balla il charleston e c’è chi canta alla Wanda Osiris…
Sì, hai fatto uno show davvero piacevole e divertente. E’ stato difficile?
Il Miles Gloriosusu di Plauto sarebbe il testo originale che Pasolini ha tradotto a modo suo, con un romano inventato. Plauto ha una certa volgarità che Pasolini ha interpretato come quello di un capocomico. Questo spettacolo l’ho abbastanza inventato io, tanto che gli altri sono andati male. Nel ’63 Gassman ci stava provando ma ha mollato, poi anni dopo Glauco Mauri ebbe insuccesso e Pasolini stroncò l’operazione.
Il tuo Vantone invece è magnifico! Grazie a cosa?
Io ho seguito il gusto mio e quello che è venuto fuori è buono grazie alla Compagnia, un gruppo davvero coeso. La forza dello spettacolo è dato certamente dagli attori, ognuno dei quali ha una sua storia importante alle spalle. Io credo che il teatro sia fatto dagli attori e per loro bisogna lavorare.
Li hai voluti tu?
Sì, li ho tutti scelti io, li conoscevo bene, una scelta senza provini esclusa la ragazza, che esce da una scuola sperimentale e della mia scelta sono molto orgoglioso. Questo mi piace del teatro: che sia senza bluff!
Cosa ricordi del tuo, di esordio?
Sono molto legato a Umberto Orsini: lui venne a prendermi all’uscita dell’Accademia Silvio d’Amico, passando nei camerini dopo il mio saggio di fine corso. Con lui ho subito fatto diverse parti come attore. Mi è servito moltissimo per crescere e imparare.
Oggi preferisci recitare o dirigere?
Mi piace fare sia l’attore sia il regista, stare sul palco e vivere uno spettacolo fatto da me. Essere solo regista me lo farebbe abbandonare dopo la prima, mentre recitare con gli altri mi permette di seguire uno spettacolo tutte le sere, perché lo interpreto.
Ti senti influenzato da Gigi Proietti?
Proietti? Me lo stanno chiedendo in tanti ma l’avrò visto una volta, non lo conosco proprio. Lo stimo, l’adoro ma tutta la somiglianza sarà forse dovuta al fatto che pure io ho studiato tanto le gag di Petrolini, quella sua mimica e la sua parlata strascicata.
Sei riuscito nel tuo intento pasoliniano?
Questa è una commedia leggera e la sua misura, il non cadere nelle esagerazioni del dialetto o della volgarità, è sicuramente una delle scelte precise dello spettacolo che spero di aver raggiunto.
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