Teatro

Serena Sinigaglia dirige al Piccolo ‘La Cimice’, di Majakovskij

Serena Sinigaglia dirige al Piccolo ‘La Cimice’, di Majakovskij

Serena Sinigaglia oggi ha 36 anni e si è diplomata in regia all’Accademia Paolo Grassi nel 1996. E’ riuscita a farsi conoscere subito grazie a uno spettacolo, un Romeo e Giulietta che di Shakespeare aveva saputo imporre l’incredibile freschezza grazie a un cast di attori giovani e giovanissimi come lei, che allora ne aveva appena 25, di anni. Ha subito fondato l’A.T.I.R., associazione indipendente per il teatro di ricerca e ha saputo attrarvi eccellenti collaboratori e artisti, sempre giovani. Il monologo da lei diretto, Natura morta in un fosso di Fausto Paravidino, fece vincere un Premio Ubu al miglior attore giovane, uno straordinario Fausto Russo Alesi. Brava nel lanciare nuove stelle, ha preso un teatrino di periferia e ne sta facendo un luogo dove ‘accadono’ cose di cultura e d’arte, a Milano: il Teatro Ringhiera. Ma soprattutto è stata scelta dal Piccolo Teatro, luogo sacro delle istituzioni, con un successo tale che, ogni fine stagione, Serena vi si ripresenta. Stavolta Luca Ronconi le ha chiesto di dirigere un testo molto impegnativo e lei ha accettato, con circa un mese di tempo per metterlo in scena. Quasi una follia, ma Serena ama le sfide. Molti siti online hanno parlato assai bene di questo suo lavoro, La cimice, che il russo Majakovskij scrisse nel 1921, con 16 attori fra cui Paolo Rossi. Ottima la recensione pubblicata da Milanoweb.com e altri ma i critici anziani, quelli che occupano i pochi posti rimasti sulla carta stampata che conta, l’hanno trattata male. Un po’ come era accaduto a Cannes giorni fa con Sophie Marceau e Monica Bellucci, fischiate dai critici cinematografici di giorno, applaudite dal pubblico per ben dieci minuti a fine pellicola, la sera. Ecco cosa pensa Serena Sinigaglia di tutto ciò. Come ha potuto allestire ‘La cimice’ in così poco tempo? Io cerco di fare sempre un teatro immediato, ma dipende da opera a opera, da contesto a contesto. Non ho mai razionalizzato di avere un metodo ma cerco di portare a termine il compito, di rendere un testo in modo che mi significhi qualcosa. Ora ho più strumenti di una volta. La cimice mi è stata commissionata dal Piccolo e anche la compagnia l’hanno scelta loro, lasciandomi libera di portare i miei collaboratori per le luci e i tecnici. Il testo prevede un centinaio di personaggi e due epoche immaginate… La regia si mette fortemente a disposizione del testo. Io almeno cerco di mettermi in relazione col testo. A volta sono io che piego a me il testo e nel caso de La Cimice mi sono rivolta in questa direzione, rifacendomi all’inventore della meccanica, acerrimo nemico dello psicologismo, sinonimo della borghesia. Così un autore come Majakovskij, che scrive di maschere proiettate nel futuro, di grande fisicità, ha speso fiumi di parole per il cinema e questo testo ha più di 100 personaggi e non soggiace a nulla del teatro: è più simile a una sceneggiatura, credo lui avrebbe voluto farne un film. Io spero di fare presto un Cechov per fare il contrario: un buon teatro borghese. Ho cercato di rendere questo testo vivo e comprensibile. Quali i momenti più difficili, secondo lei, nell’allestimento de ‘La Cimice’? E’ uno spettacolo molto complesso, con tantissimi personaggi, ironico e paradossale, tanto da sembrare ironico. Majakovskij non sapeva che Stalin avrebbe provocato migliaia di morti, ma lo sappiamo noi. L’individuo rispetto al comunismo rende Paolo Rossi quasi un burattino, i borghesi sono maschere ma non i personaggi degli operai: vediamo dei contadini al mercato, capaci di insistere quando affermano ‘noi ci crediamo alla rivoluzione!’. Non sono forse troppo ridicoli, quei borghesi? Però anche Prisinkin, il proletario, è sgradevole, è immorale. A me ha fatto venire voglia di finire col suicido, pensando che un anno dopo Majakovskij si suicida veramente. Ho pensato che l’uomo oggi capisce che il comunismo reale fallisce e il secondo tempo, nel futuro, mostra come tutto diventi ridicolo; non si può pensare che sia rimasto nulla di positivo. Per Majakovskij, forse a livello inconscio, veniva a galla la sporcizia dell’uomo incarnato in Prisinkin e significa che l’utopia non riesci a realizzarla, non funziona. Il governo non funziona, se lo stato deve oggi salvare la finanza e anche il capitalismo non vince. Qual è la via che porta l’utopia a realizzare l’utopia? E noi? Restiamo con questa domanda in cui ci si spara, questo io ho letto nel testo, che è davvero complicatissimo. Ritiene di avercela fatta? E’ stato vissuto come una grande sfida, vinta. Siamo molto contenti e il pubblico pure, nonostante la stampa. Hanno fermato gli applausi per ricordare che le critiche di Franco Quadri, scritte parlando di Massimo Francovich, che nel secondo tempo non c’è, sono davvero state assurde. La pochezza delle loro recensioni contro una regista di 36 anni che lavora con attori sconosciuti non si comprende. Perfino Luca Ronconi si è complimentato per il lavoro svolto. Ma voi immaginate di arrivare a un linguaggio comune, con attori mai visti prima, con cui ho lavorato per cinque settimane? Ha funzionato perché ci siamo piaciuti, lo spettacolo piace, è esaurito sempre, ma hanno voluto stroncare una donna senza appoggi politici, che si assume la responsabilità di lavorare solo con le sue gambe. Il critico Palazzi punisce il Piccolo che ha dato un’opportunità a una giovane regista, invece di lodare questa scelta che premia i giovani a fare regie al Piccolo. Invece vorrebbero un’istituzione chiusa in se stessa. C’è proprio rimasta così male? Sono delusa e depressa contro tanta durezza. Cordelli del Corriere della Sera cita ‘per favore niente pettegolezzi’ come una frase detta da Pavese ma si sbaglia, fu scritta da Majakovskij, prima. E l’ho fatta leggere da Francovich perché io mi sono documentata filologicamente. Non sono inesperta e immatura, non lo sono. A 36 anni una donna è nel fiore delle sue possibilità. Dove sono i Calvino, i Pasolini, che sostanziavano le loro critiche in modo più alto? Perché quello che piace a Palazzi è più importante di quello che piace a mia madre? Dovrebbe chiedersi, il critico, perché piovono applausi! Ed è lo stesso pubblico che applaude Ronconi, siamo al Piccolo. Allora io credo che esista il livore verso la giovinezza, dei talenti e non a caso i cervelli scappano: ovunque il potere è arrogante, è mafioso. E’ proprio arrabbiata. Ma se alla gente piace, perché se la prende tanto? Non sono l’unica a essere indignata: Paolo Rossi è indignato, Francovich è indignato, perché alla fine abbiamo portato a casa un testo con cento personaggi, diciotto cambi scena, una storia del futurismo russo, del momento di passaggio fra Stalin e Lenin… non è l’opera che lascerà un segno nel futuro, ma avercene. Alla fine è il pubblico che decide. Io faccio il possibile, nessuno mi ha mai aiutata, guadagno 1000 euro al mese, vivo in periferia, nessuno può dirmi niente. Io mi difendo perché fanno male non solo a me ma anche a tutti i miei colleghi giovani. Il potere non è fare una regia al Piccolo: oggi faccio questo e l’anno prossimo non ho lavoro. Con uno staff di gente tutta sotto i 40 anni, la compagnia va protetta, non denigrata. Ma guardi che molti ne hanno parlato bene, sa? Nel mio spettacolo tutti gli attori vengono fuori, tutti. Ci deve essere invidia verso di me perché sono arrivata lì con la mia buona volontà e le persone di buona volontà, libere, che si fanno il culo, danno fastidio. Un certo spettacolo può piacere o non piacere ma questo non è importante: non si stronca. Se dopo queste critiche il Piccolo non lo riprenderà, possiamo ringraziare i vari Cordelli e Palazzi per il loro contributo al teatro italiano. Scriva tutto questo con garbo, io sono più debole di loro, già mi fanno la guerra. E allora parliamo di futuro. Che farà la prossima stagione? L’anno prossimo forse faccio una cosa piccolissima al Piccolo, in Scatola Magica, su Shakespeare. L’importante è che io stia al mio posto, la Scatola Magica mi basterà. La mia rabbia è assoluta. Vorrei solo sapere perchè tanta cattiveria, ma so che non avrò mai il piacere della verità. Va bene, cerchiamo di capire. Quali sono stati i problemi maggiori? Secondo me questa era la resa del testo, poi la misura si trova nel fare e cinque settimane sono poche: non c’è stato il tempo per costruire una grammatica fisica, ci sono partiture grossolane: uno, se fa una maschera, dopo deve studiarsela. Melania Giglio e Francesca Ciocchetti hanno avuto difficoltà, arrivavano da Giusto la fine del mondo, uno spettacolo ben diverso. Eppure non credo che mollerà, vero? E’ dura, ogni giorno, che fatica, arrivare fino a qui, ricominciare. Queste persone ti tolgono energia, sono deprimenti. Vorrei provassero loro a fare quello che ho fatto io.