Teatro

Simona Semenic:"Uso il teatro per rivoluzionare gabbie e schemi della scrittura convenzionale"

Simona Semenič
Simona Semenič

Abbiamo incontrato l'artista slovena che non si era mai esibita in Italia. A portarla a Genova è stato il Festival dell'Eccellenza al Femminile.

Simona Semenič , attrice, regista, performer e drammaturga slovena, è uno dei talenti emergenti della scena europea. I suoi lavori teatrali sono stati tradotti in quattordici lingue e sono stati messi in scena in Europa, negli Stati Uniti e in Medio Oriente, oltre che pubblicati e premiati in diversi Paesi. Non era mai stata però in Italia, né come attrice né come regista, e le sue opere non erano mai state rappresentate nel nostro Paese.

A rompere il ghiaccio ci ha pensato il Festival dell’Eccellenza al Femminile, organizzato a Genova da Consuelo Barilari, che ha portato in città due opere della Semenič : I, the victim, interpretato da Valentina Lodovini, e The second time, interpretato dalla stessa Semenič. 

Negli spettacoli Simona Semenič interagisce fisicamente con il pubblico, che è chiamato a fare cose, in platea e sul palcoscenico. Semenič scrive, dirige e interpreta spettacoli sperimentali, spesso autobiografici. Ha dato vita a una drammaturgia originale, che inquadra il ruolo della donna e del corpo femminile nella società e nella Storia. Un tipo di scrittura teatrale che lei stessa definisce dramma performativo

Si tratta di un approccio alla testualità che integra concezioni, pratiche, strategie discorsive tradizionali e nuove tecniche d’espressione: una scrittura che trasforma il testo in un corpo fluido, vivo, capace di esprimersi e "agire" un atto performativo. Questa è la prima intervista in Italia a Simona Semenič.
 

Come nasce il suo teatro, così particolare?
Sono sempre stata interessata alla scrittura più che alla recitazione, ma mettere in scena io stessa le mie opere alla fine è stato un atto inevitabile e necessario. Ho scelto il teatro per rivoluzionare le gabbie e gli schemi della scrittura convenzionale. Mi piace concepire il testo non come parola scritta ma come qualcosa da amalgamare con altre cose da fare, gesti, colori, rumori: ne nasce un modo di parlare sperimentale. Sono grata al teatro perché mi permette di sperimentare molto.

Ma nasce prima la parola scritta o l’azione scenica?
Avendo questo approccio non convenzionale alla drammaturgia, è difficile dire dove inizia una cosa e dove finisce l’altra. Quando ho iniziato a scrivere per il teatro, la mia scrittura è stata modificata dal teatro, ma anche il teatro che faccio io è stato modificato dalla mia scrittura. 
E’ un processo di evoluzione e influenze reciproche che dura da anni. In Slovenia ho fatto un po’ da apripista. Fino a poco tempo fa la mia era una voce fuori dal coro: adesso nel mio Paese ci sono molti giovani che stanno facendo sperimentazioni interessanti. La scrittura teatrale è sempre meno legata ai canoni che erano alla base dello stesso concetto di scrittura teatrale.

Valentina Lodovini


Cosa vuole raccontare con i suoi spettacoli?
Difficile rispondere. Sono tantissimi i temi che mi interessano e che cambiano insieme a me in un processo in continua evoluzione. Questi temi che mi interessano e che voglio esplorare cambiano da situazione a situazione; in base alle persone con cui lavoro e al contesto. Mi è sempre interessato usare il teatro per andare oltre la sintassi normale. Per me la forma è anche un contenuto. 
Sperimento anche quando scrivo romanzi. Ci sono tematiche che ritornano in alcuni lavori, che si spostano dal teatro al romanzo. Alcuni temi sono più presenti: come il femminismo, che mi porto dietro da quando ho iniziato. In questo momento quello che mi interessa di più è il concetto di metafora: voglio esplorare più a fondo questa figura retorica, per svilupparla a livello di contenuti.

Dove inizia il suo teatro e dove finisce l’autobiografia?
Per me non c’è un inizio e una fine, le cose stanno una dentro l’altra e si influenzano. La mia biografia è imbevuta di teatro, e viceversa. Nei due spettacoli proposti al Festival dell’Eccellenza al femminile di Genova il tema principale è la diagnosi: ma il modo in cui parlo di queste cose è teatrale, e anche il modo in cui le penso.

Non teme di mettersi un po’ troppo a nudo in scena?
Quello che vedete sul palco non sono io anche se ha l’aspetto di una autobiografia. E’ interessante esplorare questo paradosso: quando qualcosa si presenta come oggettività autobiografica, in realtà è molto più falso di una fiction: che fino dal nome dichiara di essere una finzione.

Perché il privato, l’intimo, dovrebbe diventare di interesse generale?
Inizialmente ho iniziato a riflettere su questa cosa, partendo dall’idea che nelle biografie o nelle fiction quello che piace alla gente è il privato, l’aspetto intimo di solito non conosciuto. In realtà io non parlo solo di temi intimi, soprattutto in questi due spettacoli presentati al FEF. Qui parlo di epilessia, per esempio, che è una cosa che può riguardare moltissime persone. 
Mi sono subito resa conto che si tratta di un tema tabù, di cui per molti non bisogna parlare. Stavo per desistere, ma molte amiche mi hanno spronato ad andare avanti. Penso soprattutto all’attrice Sabina Potočki. 
Quando lo spettacolo è andato in scena per la prima volta, un medico presente in sala è venuto a ringraziarmi per avere finalmente rotto un tabù su questo argomento, rompendo i muri dell’ignoranza. E così ho capito che dovevo farlo e ho continuato.