Intervista con Ugo Dighero che interpreta Mistero Buffo al Modena di Sampierdarena dal 9 al 14 gennaio.
“Mistero Buffo? Come una Ferrari che può portarti dove vuoi se la sai guidare. Basta avere dimestichezza con quelle regole che in teatro chiamiamo “i fondamentali”. Altrimenti il rischio è mortale”.
Dal 9 al 14 gennaio Ugo Dighero torna al Teatro Gustavo Modena di Sampierdarena (GE) con il suo long seller che cavalca ormai da più di trent’anni. Due i brani scelti scavando quella miniera: “Il primo miracolo di Gesù bambino”, dai Vangeli Apocrifi, e “La parpaja topola”, tratta dal “Fabulazzo osceno”, storia di un contadino che , dopo aver ricevuto un’inaspettata eredità, diventa contesissimo dalla donne. “Per molte stagioni, con questo spettacolo, sono andato avanti contando sulle mie basi, su quanto avevo appreso nei corsi di Marcello Bartoli, alla scuola di recitazione dello Stabile di Genova, e dal grande mimo Lecoq. Si tratta di pezzi di affabulazione pura che costringono a entrare e uscire dai personaggi quasi senza soluzione di continuità . Per riprendere la metafora della Ferrari, è un continuo cambio di marcia”.
Non aveva mai sentito il bisogno di incontrare Fo?
Non ne avevo avuto il modo. E confesso che anche l’idea di riprendere la sua esplorazione dei fabliaux francesi mi è venuta nel 1987, vedendolo in televisione, dove era clamorosamente ritornato dopo la storica censura del 1962. Gli avevo parlato poche volte, e poi…
Finalmente un incontro ravvicinato?
Da batticuore, verso la fine degli anni Novanta, quando il teatro dell’Archivolto organizzò una serata in suo onore e io mi ritrovai a portare in scena proprio la mia versione di “Mistero Buffo”. Fo si era nascosto tra le quinte, senza dirmi niente. Io però lo avevo visto e, mentre recitavo rivolto al pubblico, con la coda dell’occhio sbirciavo lui … “Primo miracolo di Gesù bambino”… Signore, pregavo dentro di me, anche se ti sto citando dai Vangeli apocrifi, Signore dammi una mano. Voglio che gli piaccia. Quando l’ho sentito ridere, mi è sembrato di essere un cavaliere che riceva la sua investitura sul campo di battaglia.
Dopo le risate e gli applausi, non le ha regalato anche qualche consiglio?
“Come avrei potuto lasciarlo andar via senza chiedergliene? Mi ha suggerito di non calcare troppo sulla caratterizzazione dei personaggi, che potrebbe andare a scapito della narrazione, distrarre dai contenuti. Gli espressi un dubbio: se il pubblico perde il filo, non capisce più chi è l’uno che l’altro? Mi rispose di usare le tecniche dei comici dell’arte: a volte un gesto, uno sguardo rivolto in un punto preciso e diverso da quello fissato fino a qual momento vale più che un’intonazione.
E a proposito del “carattere Dighero” rispetto al suo originale?
Si è congedato ricordandomi di seguire i suoi insegnamenti ma di non volerlo imitare. E così continuo a fare.