Teatro

DELUDENTE PULCINELLA AL CARLO FELICE

DELUDENTE PULCINELLA AL CARLO FELICE

Il progetto del Teatro Carlo Felice di Genova era troppo ambizioso e improbabile: mettere in scena un gruppo di artisti maturi e provenienti da esperienze diverse - mimo, teatro danza, teatro di ricerca, danza moderna, acrobatica –  in una nuova produzione di danza contemporanea: il “Pulcinella” di Stravinskij, per le coreografie del genovese Giovanni Di Cicco.

Il Balletto che il Teatro ha proposto venerdì 22 e sabato 23 marzo, come seconda parte di una serata scandita dall’emozionante Concerto di Schumann op. 129 illuminata dalla presenza del violoncellista Mario Brunello nel doppio ruolo di solista e direttore d’Orchestra, è stato deludente e noioso, accolto dal pubblico con ben pochi applausi e notevoli perplessità.

Dilettantistica, monocorde, priva d’aderenza con la partitura musicale e povera di contenuti coreografici, la creazione per il DEOS Danse Ensemble Opera Studio, al suo debutto in un progetto di danza svincolata dalle opere liriche, è risultata banale tanto da essere avvertita da  molti spettatori supferflua rispetto alla musica dal vivo.

Il disordinato e scomposto correre in scena dei danzatori, con momenti d’insieme approssimativi e privi di un compatto stile interpretativo ed esecutivo, le prese di coppia ineleganti, l’allestimento triste e desueto, lo sviluppo drammaturgico caotico: tutto faceva pensare al frutto di un laboratorio, più che nel processo di lavoro con il gruppo, nell’approccio stesso con la musica.

Tanti i clichè: la fila di sedie sul fondo che evoca il teatro di Pina Bausch, l’eccessivo utilizzo di maschere e fantocci, il pallido scorrere di azioni senza variazione di colori e atmosfere.

La musica del “Pulcinella” di Stravinskij, sulla quale hanno già creato diversi coreografi con risultati eccellenti, basti pensare a Micha Van Hoecke, richiederebbe un approccio accurato, un lavoro sapiente e preciso sul corpo e sullo sviluppo coreografico: la costruzione di una vera e propria partitura coreografica che esprima le sfumature insite nella musica e contestualmente proietti la storia nella dimensione dell’immaginario.

La coreografia e il rapporto con la musica sono sembrati privi del vissuto di un codice classico, un vocabolario che permetta di affrontare una partitura così complessa anche in vista di un’operazione contemporanea. Insomma, a fronte della lodevole proposta di proporre una serata scandita dall’abbinamento di Concerto e Balletto, la seconda parte non è stata all’altezza del Concerto che l’ha preceduta e dell’esecuzione musicale che l’ha accompagnata: non all’altezza di un Teatro dell’Opera.

NOTE:

“Lo spettacolo di Pulcinella, scrive Stravinskij in Cronache della mia vita riferendosi al nuovo lavoro suggerito da Diaghilev che andò in scena nel 1920 a Parigi con le coreografie di Massine e le scenografie di Picasso è di quelli  - e sono rari – in cui tutto si regge e dove tutti gli elementi (soggetto, musica, coreografia, complesso decorativo) formano un tutto coerente e omogeneo”. Laddove la musica, composta a partire da materiali di Pergolesi che avevano tanto affascinato il compositore è varia e complessa, costituendo una sorta di rilettura critica del passato, ben eseguita dall’Orchestra del Teatro diretta da Mario Brunello, il balletto è risultato monocorde non riuscendo ad esprimere la ricchezza insita nella partitura musicale, né la sua capacità di raggiungere la dimensione giocosa, leggera, stupefacente legata alla commedia dell’arte. La creazione del coreografo è risultata, oltre che non strutturata in un organico lavoro dal punto di vista gestuale e drammaturgico, piena di evocazioni e stereotipie coreografiche e monotona dal punto di vista espressivo. Pulcinella: personaggio eclettico che incarna sfumature diverse, è sembrato sempre uguale a se stesso, pur nella volontà di esplorarne differenti aspetti. I danzatori coinvolti, provenienti da esperienze già mature e differenti, potevano essere un valore aggiunto se queste esperienze fossero confluite in un disegno che restituisse alla musica e al pubblico, al di là delle intenzionalità narrative, un percorso di emozioni legate al mondo di questo personaggio. Invece così non è stato: il tutto è apparso come un laboratorio coreografico dove ogni artista sembrava inserire in maniera casuale, forse per la mancanza di un contesto adeguatamente strutturato ad accoglierne ed elaborarne il contributo in una visione lineare e completa, qualcosa che non appartenesse né a lui ne all’opera. Priva di soluzioni originali che facessero pensare ad un’identità di stile se non di linguaggio, la coreografia si snodava su un terreno incerto attingendo dal teatro danza, dalla tecnica contemporanea, con qualche movimento più ginnico qua e là, senza fornire una differenziazione di dimensioni emozionali. Infine l’allestimento è risultato triste più che essenziale.