Teatro

Per Parigi e per la musica italiana: il Quartetto di Venezia alla Scarlatti

Per Parigi e per la musica italiana: il Quartetto di Venezia alla Scarlatti

All'Auditorium del Castel Sant'Elmo di Napoli ci si siede in un salotto d'altri tempi, con uno dei più celebri ensemble d'archi contemporaneo.

Continua la stagione dei quartetti all'Associazione Scarlatti, e questa volta all'Auditorium del Castel Sant'Elmo di Napoli ci si siede in un salotto d'altri tempi come è quello in cui ci si sente alla presenza del Quartetto di Venezia, un ensemble che eredita la tradizione italiana sotto la guida di Piero Farulli, e quella mitteleuropea per le numerose frequentazioni con Sàndor Vègh e Paul Szabo.

È anzitutto il silenzio, a risuonare nell'Auditorium, quello ispirato con un cambio nel programma che ha anteposto alle altre esecuzioni l'elegia "Crisantemi", un Andante mesto di Giacomo Puccini suonato in maniera particolarmente intima e dedicato ai fatti di Parigi, seguito appunto da un minuto senza applausi, un modo per essere presenti spiritualmente in un luogo colpito da tanta violenza da parte di artisti che solo due giorni prima degli attentati si trovavano proprio nella capitale francese.

La nota severità con cui il Quartetto di Venezia affronta l'analisi dello spartito, unito ad una partecipazione che li tiene insieme dal 1983 (con un solo cambio nella formazione: dall'agosto 2010 la viola di Giancarlo Di Vacri sostituisce Luca Morassutti) assicura una serata che mantiene infatti tutte le aspettative, di fronte ad uno dei più celebri insiemi d'archi contemporanei che dà sempre la sensazione di suonare con un corpo solo, lasciando la platea con qualcosa di molto di più, rispetto alla sola musica eseguita. Segue nel programma, infatti, il Quartetto il sol maggiore op. 52 n. 3 di Luigi Boccherini, che nelle mani dei quattro (Andrea Vio, violino - Alberto Battiston, violino - Giancarlo di Vacri, viola e Angelo Zanin, violoncello) diventa una carezza, una linea che non concede mai un solo eccesso, un piano o un forte fuori luogo o semplicemente sovraesposto, con una misura precisa che perfino sembra dissimulare la padronanza tecnica, a partire dall'eleganza del violoncello.

Con Bruno Maderna ed il suo Quartetto in due tempi, l'ensemble mette in mostra poi un eclettismo che non si adagia sui sicuri fasti della tradizione, e che viene affrontato con un rigore che va ben oltre l'interesse sperimentale, ad esempio sulle originalità tecniche delle battute e del ritmo delle sensuali dissonanze, in entrambi i due movimenti, con una esecuzione moderna e delicata insieme.

A seguire, il Quartetto in mi minore di Giuseppe Verdi (di cui -una curiosità- vi è la foto sulla copertina di uno degli spartiti, anziché il titolo dell'esecuzione), nel quale soprattutto viene concesso di osservare come anche molte posizioni sugli strumenti, di certo studiate, rendano l'idea di un corpo unico, perfino danzante, in molti dei loro movimenti. Infine, il bis con Sciostakovic, per uscire anche dallo schema "La musica italiana per quartetto d'archi" della serata, di cui è anche il primo concerto: una interpretazione che ci è apparsa indispensabile, poiché sentendoli suonare avevamo immaginato per tutta la serata proprio l'autore russo, fra le loro note: l'allegretto in Polka, con gli eccellenti pizzicati, ci sembra abbia colto infatti l'essenza di un'anima russa sulla quale, per l'esemplare bilanciamento già espresso, si era disposti a scommettere.