Dopo le stanze da letto della Villa Imperiale, gli utensili della cucina della Fullonica di Stephanus riproposti nell'allestimento dell'inizio novecento di Spinazzola, mentre nella Palestra grande si possono vedere reperti organici e sandali in sughero.
Si aggiunge un nuovo tassello all'idea dell'antica Pompei come museo diffuso, come dimensione che presenta oggetti d'epoca originali collocati negli spazi antichi. Dopo il riallestimento dei cubicola (stanze da letto) della Villa Imperiale aperte lo scorso aprile, da oggi è possibile ammirare completa di utensili la cucina della Fullonica di Stephanus, la lavanderia di via dell'Abbondanza. Lo spazio ripropone lo stesso arredamento concepito da Vittorio Spinazzola, soprintendente e archeologo che curava gli scavi, nel 1916. Un percorso di spessore filologico, basato su fotografie, che ha voluto riproporre pentole, piatti, contenitori in ceramica e bronzi proprio come li aveva organizzati lo studioso dell'epoca. Il tutto protetto, per evitare furti e danni, da una vetrata antisfondamento, in cristallo temprato, corredato da accorgimenti che tutelano in caso di rottura fortuita. In questo modo la cucina si arricchisce di oggetti che lasciano immaginare la vita quotidiana di chi lavorava nelle lavanderie del tempo, i fullones, che accanto allo spazio, con i suoi odori acuti, in cui lavavano i panni (si utilizzava anche l'urina), cucinavano, mangiavano e vivevano.
"Da Spinazzola e ancor più da Maiuri riprendiamo l'idea di Museo diffuso- sottolinea il soprintentende Massimo Osanna- perché consapevoli della bontà di quella idea e di quella politica di presentare in contesto gli oggetti, proprio per dare l'idea della vita quotidiana dell'epoca, cosa che ha sorpreso tutti riguardo a Pompei ed Ercolano".
Inoltre, nella Palestra grande sono in esposizione permanente i reperti organici, che erano già nella mostra “Mito e Natura” ora conclusasi: resti di semi, ortaggi e cibi come pane, provenienti da Pompei ed Ercolano. E in altre vetrine vengono aggiunti oggetti, provenienti dallo scavo di Moregine come sandali in sughero utilizzati dai fuggiaschi, un cesto in vimini e le tavolette cerate usate per scrivere.
Lasciar rivivere anche gli oggetti antichi, proprio nei luoghi a cui appartenevano, è una visione museale interessante. Le potenzialità, visti gli oggetti ritrovati, sarebbero tante, previo uno studio filologico e di fonti. Un modo per non lasciare al chiuso dei depositi gli oggetti, per far conoscere, avvicinare al passato come sottolinea anche Giovanna Patrizia Tabone, funzionario archeologo della Soprintendenza di Pompei. Ma l'utilizzo in loco degli oggetti è piuttosto complicato. Con Maiuri era stato possibile ricostruire, ad esempio, anche i termopolia (tavole calde) con gli oggetti d'epoca ma oggi la possibilità di vederseli sottrarre, visto anche quanto è cambiato il modo di modo di fruire il sito, sarebbe alto anche per delle copie. Intanto il prossimo passo sarà la apertura della casa del Fabbro con i due scheletri che Maiuri trovò e lasciò in loco. Forse un uomo e una donna, racconta l'archeologa, e che dopo studi e dopo un 'restauro', daranno nuove informazioni sul tempo e torneranno a vivere per sempre nella stessa casa.