Ciccio Merolla,diretto da Raffaele Di Florio, al teatro Sannazzaro per la prima volta in un One Men Show racconta la storia di un detenuto che nel suono trova l'elevazione dello spirito.
Ciccio Merolla, con le sue mani magiche e affabulanti, si proietta con slancio in una nuova avventura. Per la prima volta sale da solo, da attore-musicista, su un palcoscenico di un teatro, il Sannazzaro di Napoli, nel fine settimana dal 20 al 22 gennaio. Lo spettacolo si chiama Sono Solo Suono, One Men Show, un viaggio in un percorso drammaturgico-musicale nato da una stretta collaborazione con Raffaele Di Florio che ne firma la regia e scenografia, ed è prodotto dalla Jesce Sole. In un perfetto connubio e dialogo tra i due artisti, la musica e la storia artistica di Ciccio Merolla si inserisce in una scatola teatrale, diventando luogo d'arte completa. La struttura narrativa che regge lo spettacolo è emersa, come racconta Raffale Di Florio, da un profondo condivisione tra i due, da suggestioni comuni.
LA STORIA.
"Ciccio è un percussionista anomalo - racconta Di Florio - nel senso che ha un rapporto con gli oggetti come se fossero animati o da animare: tutti gli oggetti possono suonare. Mi è venuto in mente il racconto Il vagabondo delle stelle di Jack London, la storia di un carcerato che è stato condannato a morte e che l'ultima settimana della sua vita dialoga con i suoi amici di cella mentre è in isolamento, attraverso la percussione, come fosse un linguaggio morse. Poi inizia a pensare e a viaggiare con la mente e il racconto si conclude quando vanno a prenderlo per l'esecuzione e trovano soltanto il corpo perché lui intanto era andato via. Una situazione quasi claustrofobica dove non può uscire ed è costretto a non poter comunicare se non con la fantasia. L'impianto scenico, infatti, vive su due livelli: uno concreto, quasi iper-realistico della cella e poi un luogo alto-altro anche che sarebbe quello dove Ciccio si esprime pensando ad altre cose".
Si tratta di una sceneggiatura di suoni, un lavoro di ricerca, attraverso l'arte e il suo senso, che nasce dalla possibilità di esprimersi superando i limiti personali e spaziali. "E' la storia di un carcerato - racconta Ciccio Merolla - che sogna e attraverso i sogni si evolve: il fatto che sia un detenuto per la sua anima rappresenta quasi una fortuna perché ha modo di far viaggiare la propria mente e di elevarla. Ha la possibilità di un' evoluzione molto forte in cui il suono e la canzone sono un modo di raccontarsi e nello stesso tempo di girare una pagina della propria storia. Attraverso questo percorso cerca di andare sempre più verso un suono universale che va oltre ogni sovrastruttura mentale: questo glielo permette di fare la cella, che poi alla fine diventa il cuore di questa persona". Non a caso il viaggio è condiviso con Raffaele Di Florio, che da anni associa il suo nome a quello di Antonio Gramsci e alla sua prigionia, insieme ragionano sul senso, sull'evoluzione dell'arte e della creatività che proprio nella costrizione trova il suo possibile punto di partenza.
LE PREMESSE.
Ma per Ciccio Merolla questo spettacolo è anche la concretizzazione di un sogno artistico. "Sono riuscito a raggiungere il risultato di stare in una squadra dove hanno tutti quanti la mia stessa testa. S'è creato un equilibrio e un'atmosfera tra di noi, anche nei momenti in cui sono teso, che ci sono perché è sempre il mio primo spettacolo da solo in scena al Sannazzaro. Quando ero piccolo venivo a portare il Caffè al Sannazzaro e lascio immaginare che emozione posso avere, ma non mi sento solo. Per la prima volta non mi sento una persona anormale ma mi sembra che parliamo tutti lo stesso linguaggio, mi sento a casa. Suonare a teatro per me è poi il massimo. Il teatro per me è il massimo della sonorità, c'è tutto quello che uno può desiderare a livello acustico che non c'è in un impianto raffinato. Ho intenzione di andare avanti in questo percorso teatrale e perfezionarmi sempre di più."
La storia del carcerato è un po' la storia di una vita autobiografica, non certo nella contenuto narrativo, ma nel suo cuore, nel modo di utilizzare e vivere il suono che il protagonista della storia e Ciccio Merolla condividono: la ricerca, che lo accompagna fin da bambino, di leggere, dialogare e vivere con gli altri attraverso il ritmo.
"Ho cercato in questo spettacolo di raccogliere quello che ho fatto in questi anni -sostiene Merolla - nascere a Napoli non è come nascere in Brasile: quello che ti trovi sono il tavolo, le posate, la bottiglia, il suono di quando prepari il caffè. Mi ricordo che quand'ero piccolo mi piaceva moltissimo il suono del vento che si creava con le incerate che erano messe sui panni quando doveva venire a piovere. In questo senso ho iniziato a suonare gli oggetti che mi stavano intorno, compreso il mio corpo. Anche poi studiando le percussioni non ho mai smesso di suonare le cose intorno a me. Chi mi conosce e mi frequenta lo sa. Quando vedo un oggetto, prima di pensare a cosa serve, penso 'Che suono fa?' E' un virus. Io ho iniziato suonando le mani, era una cosa che mi faceva passare tutta la mia timidezza, mi rendevo conto che potevo entrare in qualsiasi ambito e ceto sociale attraverso questa cosa che sapevo fare. Mi nascondevo dietro questa cosa, l'ho usato come scudo, come arma. Poi è diventata la ragione della mia vita. Quando suono uno strumento comunico il mio stato d'animo di quel momento, perché quando non hai uno spartito davanti è tutta anima e tutto cuore quello che esce".
LO SPETTACOLO.
Le premesse di questo spettacolo sono elevate, almeno per quanto riguarda la sincerità e la profondità di approccio e il modo di concepire l'arte sonora come espressione di vita. La vita stessa. Un esempio concreto di condivisione della convinzione che l'arte è un modo di essere, è una dimensione vera e viva. E il risultato corrisponde alle premesse. Il gioco tra livelli comunicativi è chiaro: Ciccio Merolla interpreta mirabilmente il suo rapporto con il suono che riesce a raccontare e ad emozionare tra macchinetta del caffè, armadietti di ferro, macchina da scrivere (speciale citazione di Jerry Lewis), il rumore dell'acqua, la 'pittura sonora' che nasce dalle mani che suonano ma tingendosi nel colore. Quello che colpisce è percepire il suo divertimento nel dar voce a elementi della quotidianità: attraverso il gusto prende forma la possibilità che l'arte possa rimandare a mondi altri/alti che vivono nell'anima e nel modo di considerare diversamente l'uso degli oggetti. Ciccio Merolla intepreta mirabilmente l'idea di un carcerato che serenamente cerca una strada di sopravvivenza attraverso uno sguardo diverso e nello stesso tempo attraverso il sogno. La dimensione onirica che sposta altrove e riesce a rendere il senso del viaggio, prende corpo in musiche e canzoni sue ma anche di Carosone, Gragnaniello, Daniele. Una parola va spesa per la scenografia, su più livelli, che vive sul palcoscenico: la cella sotto e sopra e attorno gli spazi di libertà dal luogo carcerario. Il piano superiore è quello dove Ciccio Merolla intepreta Ciccio Merolla in concerto, in una sorta di sogno-vero del carcerato.
Tra i diversi momenti colpisce la presenza di una figura femmile che aleggia durante lo spettacolo, si tratta di Mariema Faye, è lei che gli porta lo strumento Hang e che poi diventa lei stessa, con il suo corpo, strumento da suonare, luogo di creazione d'arte. Grazie a questo passaggio con il femminile, dichiarando che in fondo è proprio nel femminile la chiave, che avviene il salto verso un passaggio universale, fatto di suoni profondi, emozionali completi che utilizzano come strumento proprio l'Hang, portato da lei, che toccato dalla magiche mani di Ciccio Merolla racconta in qualche modo l'infinito.