Teatro

Speciale Fringe 2013

Speciale Fringe 2013

Anna e altre storie

Ridotto nell'organico e nel numero degli atti unici presentati - rispetto quelli annunciati nel programma -  e detti corti, secondo una pratica lessicale sbagliata ma ormai correntemente diffusa, Anna e altre storie si incentra su cinque diverse situazioni drammaturgiche intrecciando una comicità tutto sommato facile con l'elegia, la situazione problematica con la battuta da osteria, attestandosi su di  un orizzonte etico e antropologico ingombrante e discutibile.

Le donne descritte negli atti unici sono petulanti, castranti, oppure casalinghe che non lavorano e si fanno mettere incinta pescando da un luogo comune maschilista duro a morire. Donne sempre in competizione con il maschio mai perchè il maschio le vessa o le schiavizza ma per una caratteristica del loro femminino che ha per indole connaturata quella di dar loro fastidio o di urtare i loro nervi come viene mostrato nel primo atto unico dove il marito vorrebbe vedere la partita e la moglie deve dirgli che è incinta, ma poi si scopre che faceva finta.

Anche quando l'atto unico ci racconta di un rapporto positivo tra una figlia e un padre questo rapporto è costruito su una complicità fatta a spese della madre e risulta essere un rapporto fittizio visto che l'uomo, morto, è una pura proiezione della figlia.

Uno degli atti gioca disinvoltamente con lo stereotipo della prostituta presentandocela come donna sensibile e madre (tradendo così l'idea di partenza che l'autore deve avere delle donne che si prostituiscono) dove a doversi giustificare è sempre la prostituta e mai il cliente.

Il testo si guarda ben dal descrivere la prostituzione per quello che è: una schiavitù (non lo diciamo noi lo dicono l'Onu e la comunità europea) inflitta a una donna dagli uomini quelli della criminalità organizzata
che la costringono  a prostituirsi e quelli che la pagano per farlo, e si spaccia come difensore delle donne perchè sottrae la prostituzione al pubblico ludibrio presentandola come una normale opzione lavorativa. 

Il cliente della donna non si trova a suo agio a consumare del sesso mercenario, e la prostituta gli chiede se sia frocio (originale nel testo) e il ragazzo conferma,  attestando così una incompatibilità tra donna (ridotta qui al suo organo genitale)  e omosessualità maschile.

E' evidente che nell'orizzonte ideologico dell'atto unico se il maschio non consuma in ogni occasione  e circostanza, la propria virilità viene lesa confermando il pensiero maschilista che vuole un omosessuale fisicamente incapace di fare sesso con una donna mentre quello che lo trattiene è ben altro come aveva magnificamente spiegato nel 1977 il film di Ettore Scola Una giornata particolare

Se Fea avesse fatto del ragazzo un giovane eterosessuale sensibile e restio al sesso mercenario il maschilismo della premessa narrativa sarebbe in qualche modo stato sminuito spiegando la sua resistenza a fare sesso con lei con l'omosessualità conferma maschilismo e omofobia del sentire comune pretendendo di fare un discorso di accoglienza mentre conferma e diffonde discriminazioni e pregiudizi.

Così il fatto che il ragazzo, confessa alla prostituta, si deve nascondere altrimenti il fratello  - che pensa solo ai soldi e alla fica (originale nel testo) - lo picchia  lungi dall'emergere come denuncia dell'omofobia (che non p solo personale e familiare ma pubblica e statale) conferma la marginalità e la debolezza del gay che si deve nascondere perchè non sa difendersi.

L'omosessualità torna a più riprese in questi cinque atti unici (in tre su cinque), sempre in circostanze drammatiche (la compagna di una ragazza in fin di vita che si vede negare l'ingresso in ospedale dalla madre che non sa accettare la loro convivenza anche se da oltre quattro anni...) raccontate con una ineluttabilità del destino più vicina alla società di 30 anni fa che quella d'oggi che, lungi dall'essere meno omofoba, ha però degli e delle omosessuali meno ingenuamente sprovveduti e sprovvedute di quelli tratteggiati e tratteggiate da Fea.

Oppure, al contrario, l'omosessualità  serve come base di un meccanismo comico che vede una moglie petulante portare il marito dal terapeuta dal quale va da cinque anni perchè lo sospetta di essere frocio (sempre originale nel testo non ci inventiamo sostantivo alcuno purtroppo) trovando conferma non solo dell'omosessualità del coniuge ma anche di quella del suo terapeuta, ascrivendo  entrambi a una omosessualità che non c'è visto che, casomai, sono entrambi bisessuali.

Quel che conta nell'atto unico è il meccanismo comico che serve a punire, nemmeno troppo sottilmente, la petulanza della donna omofoba che si ritrova col marito e il terapeuta froci, secondo un contrappasso larvatamente misogino oltre che omofobico.

L'antropologia e la sociologia molto approssimate e ferme agli anni cinquanta del secolo scorso che emergono da questi atti unici confondono ancora orientamento sessuale con identità di genere, fanno notare al marito frocio la poca femminilità della moglie - e lei gli risponde dandogli del travestito (sic!), presentano le donne ancora come mogli a carico dei mariti...  Tutti orrori discriminatori alimentati dal più corrivo dei pregiudizi e dei luoghi comuni non vengono impiegati per farne una critica ma per scatenare un fin troppo facile effetto comico invitando il pubblico a ridere di situazioni delle quali ci si dovrebbe piuttosto indignare.

Molto diversa la qualità interpretativa degli attori e delle attrici che hanno portato in scena questi cinque atti unici.  Se Marco Fresa si trova bene nel ruolo iperbolico del marito tifoso vessato (secondo lui) dalla moglie casalinga eternamente incita (nemmeno fossimo nel secondo dopoguerra) sostenuto da una verve recitativa coniugata secondo una verace romanità, meno adatto ci sembra nel ruolo di terapeuta che interpreta imbastendone una non sappiamo quanto intenzionale parodia.

Andres Suriano che può contare su una disinvoltura e una certa ecletticità interpretative è messo in difficoltà da delle incomprensibili scelte di casting da parte di Fea (che firma anche la regia) che gli fa interpretare il ruolo del marito nell'atto unico con la moglie petulante dove, date le differenze fisiche tra Suriano e Grippaudo, sembrano più madre e figlio che marito e moglie.

Sempre a Suriano  Fea fa interpretare il ruolo del padre nell'ultimo (e migliore) atto unico, quello della figlia che ritrova un dialogo col padre solo dopo che questi è morto, ruolo molto più congeniale a Fresa e non solo per ragioni anagrafiche o fisiche ma anche perchè quel ruolo è più nelle sue corde interpretative.

Più brave le due attrici, anche se Flaminia Grippaudo viene relegata al registro nervoso del ruolo di donna petulante lasciando  a Ilaria Giambini l'opportunità di dimostrarsi attrice versatile e completa, capace di passare dal registro popolare della prostituta che parla romano a quello della donna discriminata dalla madre della ragazza in fin di vita con la quale condivide letto e vita, a quello della figlia tenera e piena d'affetto per il padre.

Anna e altre storie deve tutto agli attori e alle attrici che lo interpretano mentre il testo si ricorda solamente per il maschilismo patriarcale e omofobo che lo caratterizza.