NO
L'idea drammaturgica di No, scritto e diretto da Andrea Lanciotti, passa attraverso il concetto di arte comportamentale, che pone l’accento cioè sull’agire diretto dell’artista nel suo rapporto dinamico con l’ambiente che lo circonda.
Nella pratica dell'esecuzione dello spettacolo\performance l'arte comportamentale è tutta già scritta in una drammaturgia che vede una pletora di personaggi muoversi goffamente sulla scena ora recitando a turno le proprie battute ora, nella maggior parte del tempo, intenta in una sorta di ginnico esercizio di stiramento egli arti superiori (in realtà accennano a dei movimenti mimici non tutti di immediata lettura). Tra i vari personaggi distinguiamo un poeta incompreso (e forse incapace) che cerca l'ispirazione (nel femminino), un oste rude e violento, mentre le donne o sono vecchie (interpretate da un uomo) o belle e stizzose o prostitute. Concludono la galleria altri due personaggi maschili uno dei quali non parla ma ascolta (e due orecchie posticce a sventola sottolineano la funzione uditiva) e il suo unico amico, petulante e gretto e un altro personaggio che riesce a parlare solamente per dire no (e fine).
Le relazioni interpersonali di questi personaggi sono guidate da dinamiche prevedibili che si rifanno una ideologia ben precisa. Le donne sono rivali e gelose e si contendono il maschio\poeta, che dice di amarne una (la donna bella, che non si concede) e che fa dunque sesso con la prostituta. Gli uomini per quanto virilmente prepotenti (come l'oste del paese) sono in realtà sprovveduti perchè succubi della perfidia femminile. A questa dinamica, maschilista e misogina, si aggiunge una psicosi del sospetto e della delazione che inquina tutti i rapporti tra i personaggi. Personaggi che nella prima parte dello spettacolo recitano le proprie battute in scena mentre nella seconda i loro dialoghi sono riportati in una registrazione dove gli stessi personaggi sono interpretati da altre voci mentre le attrici e gli attori in carne ed ossa si dimenano sulla scena come dantesche anime in pena.
La registrazione a un certo punto si riavvolge mentre i e le performer pestano i piedi, riproponendo dialoghi e trame in versione abbreviata fino allo stesso epilogo che vede l'ascoltatore del villaggio piombare a terra (e la seconda volta la sua voce registra ci rassicura sulle sue condizioni fisiche).
La recitazione molto approssimativa e romana, uno stare sul palco fin troppo disinvolto che tradisce la mancanza una vera idea di regia e coreografia (con molte persone in scena c'è bisogno di un coordinamento spaziale attento), l'uso inesistente delle luci (e, nonostante il buio in scena, c'è un ulteriore personaggio che fa delle le riprese con una videocamera a mano) danno nell'insieme l'idea di una performance confusa, pletorica e approssimativa.
Ci si chiede quali risultati No vuole raggiungere, quali strade praticare, se raccontarci brechtianamente le nostre dinamiche interpersonali, o coinvolgere il pubblico con un teatro che ha in una diversa fruizione una precisa politica culturale, o, più semplicemente, proporre una performance.
No tace su questi nodi rimanendo del tutto irrisolto risultando pretestuoso nel proporre come elementi di improvvisazione una drammaturgia che invece è già tutta scritta e ideologicamente pre-determinata.