Avrebbe doppiato il traguardo dei cent’anni il 24 gennaio 2016, e li ha mancati per un soffio: a poco più di un secolo dalla nascita, ricordiamo lo straordinario talento di Arnoldo Foà, uomo e artista a tutto tondo, interprete ineguagliato.
Di quale fosse la sua tempra, un Arnoldo Foà appena adolescente dà prova precoce al saggio finale del corso di recitazione diretto da Raffaele Melani a Firenze, dinanzi ad un pubblico di colleghi in visibilio: all’inaspettata assenza del suo partner in scena, riesce infatti ad interpretare all’impronta un monologo che riassume anche le battute del compagno, da lui imparate a memoria e padroneggiate.
Avvezzo ai contatti con il pubblico nel negozio di famiglia, Foà inizia presto a scoprire in sé quella compartecipazione emotiva, la comprensione umana così essenziali per un attore: “quando faccio un personaggio sono lui, in un modo talmente profondo che non si esprime solo con le parole, ma anche con gli sguardi, i gesti, i rapporti con gli altri”.
Escluso perchè ebreo
Bandito dal prestigioso Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma per le sue origini ebraiche, dopo la promulgazione delle leggi razziali nel 1938, egli è costretto a darsi alla macchia a rischio della vita, pur continuando a recitare sotto pseudonimo nelle migliori compagnie dell’epoca.
In seguito assunto come autore e conduttore capo presso l’emittente della radio alleata PWB a Napoli (dove riceve pure gli apprezzamenti di Totò), Foà segna la storia con una voce da leggenda, introducendo il comunicato dell’armistizio che condurrà infine alla Liberazione dal nazifascismo.
Un maestro d’altri tempi: ispirazione, versatilità, anticonformismo
Nel dopoguerra, diretto dai principali registi del Novecento (Strehler, Ronconi, Squarzina, Menotti) in un catalogo sterminato di messe in scena, Foà si distingue per la capacità di ricercare e far rivivere l’essenza profonda del dramma, in una strenua tensione verso l’autenticità interpretativa.
Dote innata che fa il paio con la profondissima umanità del Nostro: “Lui era molto più di un attore - testimonia Moni Ovadia - perché sapeva essere interprete e se stesso contemporaneamente, andava al di là del ruolo. Faceva parte di quelle persone capaci di diventare icone, mantenendo ironia e autoironia, a volte cattivissime. Aveva poi una rarissima capacità antiretorica di recitare, era naturalmente epico. Brecht lo avrebbe amato molto”.
Brillante regista, attento alla ricostruzione filologica del messaggio conferito dagli autori, nonché drammaturgo di successo, dotato di un’inimitabile vena ludico-ironica, Foà contribuisce inoltre alla nascita della Rai e viene scritturato dai più importanti cineasti in oltre cento pellicole. Incide nel profondo pure la sua attività di doppiatore ed interprete di importanti pagine letterarie; ruoli nei quali, anche in virtù dell’inconfondibile timbro di voce, forgiato dagli studi di dizione, riesce ad immedesimarsi nell’animo del testo: “cerco di tenere una lettura della poesia il più spenta possibile, in modo che soprattutto venga fuori il senso poetico…rifuggo dalla descrizione sentimentale della parola”.
“Il sorriso e l’ironia sono per me alla base del teatro e della vita” - A. Foà -
Il talento che attraversa i secoli: Arnoldo Foà ai posteri
Ispirazione cristallina e frizzante spirito critico rinsaldano negli anni il mito di , artista insofferente a qualunque compromesso con il potere, sincero ai limiti della scortesia, devoto alla propria onestà intellettuale. Serio e faceto si alternano nelle prove successive: “un mattatore straordinariamente sublimato, asciutto, giunto a un’estrema ratio...encomiabile” lo descrive , commentando il sofferto monologo in cui Foà veste i panni del protagonista gay di Un pezzo di Paradiso di Steve J. Spears, a Taormina Arte nel 1989.
Strappa gli applausi anche la breve apparizione di Foà nel ruolo di un anziano poco accondiscendente in Gente di Roma di Ettore Scola (2003), che lo ricorda così: “Intelligente e spiritoso…pieno di un sentimento nascosto dietro una durezza un po’ burbera e scostante…non va alla ricerca dell’applauso facile o del consenso dovuto all’essere attore, ma sembra quasi che sia l’incontro con il pubblico che invece lo affascina”.
Reclutato da Gabriele Vacis per il monologo di Alessandro Baricco Novecento, il Nostro produce un altro capolavoro: “Con una straordinaria ricchezza di toni, con un’intelligenza recitativa che scava dentro la parola e le emozioni, Foà suggerisce, complica, fa’ parlare l’anima profonda del personaggio, dandogli densità e verità nel ricordo” (M. Poli, Corriere della Sera). Ergendo saggezza e spontanea semplicità a vessillo personale, Arnoldo Foà, al termine di una vita valorosa, affida al teatro il riscatto morale e intellettuale dei propri simili:
“ho sempre considerato il teatro un moribondo che non muore mai…il teatro è sempre stato una ricerca di qualcosa, è una ricerca della conoscenza. Una ricerca di pensieri, di fatti dell’anima… non puoi essere attore se non conosci te stesso e il mondo, che è l’umanità. E poi con il mestiere, con lo studio, questa conoscenza che hai assimilato e elaborato può in alcuni casi diventare arte, e quando è arte il teatro è meraviglioso”