In Ballade, preghiera profana Susanna Beltrami porta in scena una nuova generazione di danzatori. Fra street dance, contemporaneo, rap e musica dal vivo.
In Ballade, preghiera profana Susanna Beltrami porta in scena una nuova generazione di danzatori. Fra street dance, contemporaneo, rap e musica dal vivo si racconta l’oggi a partire dal testo di Bernard-Marie Koltès “La notte poco prima della foresta”.
La chiave street-romantic.
Coinvolgente e ipnotica, la prima assoluta di Ballade, preghiera profana ha rapito il pubblico. E’ una scrittura in chiave street-romantic del testo “La notte poco prima della foresta”, che il drammaturgo francesce Koltès scrive nel 1977, consapevole di essere alla fine della sua vita. Ma è soprattutto una sinfonia per corpi maschili e voce solista, dove la musica dal vivo di Cesare Picco, pianista e compositore, è parte integrante dell’azione scenica.
La scrittura del testo è affidata al giovane performer “Deli”.
Nel ruolo di vocalist e performer il giovane Claudio Santarelli, “Deli”, che rivisita il potente testo di Koltès e lo recita in chiave rap. “I temi che tocca lo scrittore sono oggi al centro di una grande tensione sociale”, spiega l’artista 27enne. “I riferimenti all’essere straniero e al mondo queer, come regno delle sfumature fra i poli del maschile e femminile erano già presenti nel testo prima che fossero formalizzati”. Un passato in transito da un luogo all’altro: “L’incontro con la sua scrittura è stato importante anche dal punto di vista personale. So cosa vuol dire non avere una casa o uno stipendio fisso e avere vicino persone con grosse difficoltà”.
La precarietà come condizione dell’essere.
Emarginazione, solitudine, malattia. Il mondo di Koltès è quello di chi vive ai margini. Stranieri, vagabondi, disadattati, gente senza posto fisso, senza un lavoro, senza una direzione. Sarebbe stato facile per Susanna Beltrami tracciare lo scenario di un’indefinita periferia urbana, un luogo che metta al riparo il pubblico dalla sensazione di appartenenza. Invece la coreografa mette in scena uno spettacolo che sembra fatto di niente dal punto di vista dell’allestimento ma si costruisce attraverso la fusione fra musica, voce e solidità coreografica. Per tracciare una dimensione dell’essere.
Mito e quotidianità.
Il senso di precarietà, tensione che proietta il corpo costantemente in altri tempi e luoghi, tiene il pubblico inchiodato alla scena. Il flusso di accadimenti, sogni, visioni o gesti che riportano all’improvvisa quotidianità di bisogni primari, è ininterrotto. Non c’è pausa in questo nuovo lavoro di Susanna Beltrami, se non il fermo immagine che a tratti congela una situazione come quando si mette in stand by un film.
Al centro di questo lavoro Beltrami pone la trasformazione: di stati d’animo e di coscienza. Dall’abbandono alla ribellione, dal maschile al femminile, dal mito, come nel richiamo alle catene di un Prometeo della notte, alla realtà più dura. Bere dalle ciotole come cani.
Contaminazione di esperienze.
Il punto prima della caduta e della perdita d’identità è tracciato anche dalla coreografia, contaminazione fra street dance, contemporaneo, floorwork. Non c’è utilizzo di una tecnica definita ma incontro di esperienze. La via di fuga è dolce nella seduzione di sirene no gender, aggressiva nell’insieme dei danzatori che si fa compatto: il gruppo, l’etnia, la minoranza, il muro.
Il testo di Koltès recitato dal performer coglie il senso di precarietà che caratterizza la generazione dei 20-30enni e lo proietta nella contemporaneità. “Vado in giro coi capelli bagnati/ sogno un giorno in cui occhi e vestiti saranno asciugati/ c’è chi ci vuole ammalati, affamati/ qualcuno preferirebbe vederci ammazzati/ perché non restiamo abbracciati?/ perché non diventare alleati?/ niente soldi, né dignità, niente lavoro/ ma tutti lì sui loro troni a parlare di decoro!”