La forza del destino di Giuseppe Verdi che ha inaugurato tra gli applausi la stagione 2024/25 del Teatro alla Scala ha concluso con un vivo successo i 5 anni di sovrintendenza di Dominique Meyer e suggellato la perfetta intesa tra i complessi scaligeri ed il Direttore musicale Riccardo Chailly.
Orchestra e coro i veri protagonisti
È inusuale affrontare la recensione di un’opera lirica partendo da coro ed orchestra, tuttavia sono stati proprio loro i principali artefici del successo di questa nuova produzione.
La convinzione di molti che il Coro del Teatro alla Scala sia il migliore del mondo ha infatti trovato in questa nuova produzione ulteriore conferma: le masse corali dirette da Alberto Malazzi hanno regalato una prova straordinaria per compattezza ed intensità e non da meno è stata l’orchestra, plasmata dall’eccellente concertazione di Riccardo Chailly, qui alla sua migliore inaugurazione scaligera.
Partendo da una sinfonia travolgente per bellezza del suono e tensione drammatica, Chailly ha fornito una lettura omogenea ed estremamente ispirata della partitura, tenendo perfettamente in equilibrio tutte le varie componenti (dramma, comico, religiosità, guerra) che sono alla base della sua frammentarietà e cogliendone sempre lo spirito ed i colori appropriati al punto da ridonare dignità anche ad una pagina tanto vituperata quale il Rataplan.
Anna Netrebko alla testa di un cast affiatato
Di ottimo livello il cast sul quale svettava l’esibizione di Anna Netrebko. Nei panni di Leonora il soprano russo ha ancora una volta dato prova delle sue non comuni doti vocali e del suo carisma sulla scena. Se “Me pellegrina ed orfana” è stata una lezione di fraseggio, complice un tappeto orchestrale strepitoso, nel finale è bastato il suo apparire in scena prima di intonare “Pace mio Dio” a catalizzare l’attenzione su di lei.
Al suo fianco Luciano Ganci è stato un Alvaro eroico, dal timbro squillante e generoso e dalla solida linea di canto. Ludovic Tézier, nei panni di un Don Carlo aristocratico ed altero ha esibito un timbro brunito, morbido nell’emissione ed impeccabile nel registro acuto. Alexander Vinogradov è stato un Padre Guardiano autorevole, dalla voce piena e corposa. Vasilisa Berzhanskaya ha delineato una Preziosilla spavalda, più a suo agio negli acuti che nei gravi, mentre Marco Filippo Romano, musicista ed interprete di gran classe, ha dato vita ad un Melitone sfaccettato e credibile sulla scena. Valido il gruppo dei comprimari su cui spiccava il Trabuco da antologia di Carlo Bosi.
Dalle guerre di indipendenza ai conflitti odierni
Il regista Leo Muscato ha incentrato la sua lettura sul tema dell’onnipresenza della guerra, legando ogni atto ad un evento bellico: dalle guerre di indipendenza ai conflitti odierni, passando per il Risorgimento e la Prima guerra mondiale (molto curati i costumi di Silvia Aymonino).
La scenografia, basata su una pedana girevole progettata da Federica Parolini, ha impresso a molte scene un taglio cinematografico, come se si trattasse di lunghi piani sequenza che, espandendo grazie alla rotazione lo spazio d’azione, hanno contribuito ad amplificare quella dimensione di “romanzo popolare” che è la cifra stilistica di quest’opera.
Molto efficaci quindi sono stati l’attraversamento di Leonora degli accampamenti durante “Me pellegrina ed orfana”, la marcia dei soldati che ha accompagnato “Al suon del tamburo” e la lunga panoramica attraverso le trincee nel terzo atto.
Per il resto lo spettacolo si è dipanato nei primi due atti secondo clichè abbastanza convenzionali, mentre l’atmosfera cupa e pessimista degli ultimi due a volte strideva con i passaggi più comici. Una regia comunque nel complesso efficace che ha contribuito a rendere fluida la narrazione senza ricorrere a forzature. Entusiasta al termine la risposta del pubblico che ha tributato a tutti i protagonisti lunghi e calorosi applausi.