Dirty Dancing – The Classic Story on Stage torna in Italia, questa volta in esclusiva milanese, in occasione delle feste natalizie. Forte del successo degli anni scorsi nel West End londinese, Federico Bellone – che cura la regia insieme con Chiara Vecchi – ha puntato su una nuova versione in prosa, che ripropone sul palcoscenico – forse anche troppo fedelmente – la sceneggiatura dell’iconico film, con protagonisti Patrick Swayze e Jennifer Grey.
Lo spettacolo originale è da sempre ritenuto una sorta di “ibrido”: non è solo prosa, né un musical a tutti gli effetti. Ciò premesso, in questa nuova versione, a parte qualche piccola eccezione dal vivo (L’inno di Kellerman e We Shall Overcome), brani come Hungry Eyes, Do You Love Me? In the Still of the Night e naturalmente la canzone premio Oscar (I’ve Had) The Time of My Life – vengono diffusi attraverso una radio.
Johnny e Baby, tra consapevolezza ed emancipazione
A dieci anni dal suo debutto, e dopo numerose esperienze tra prosa, teatro musicale e televisione, Gabrio Gentilini torna a interpretare Johnny Castle, con una maggiore consapevolezza, che lo affranca dal personaggio e gli consente di immedesimarsi meglio in un ruolo dalle insidiose implicazioni emotive.
Vanessa Innocenti rende coinvolgente il percorso di maturazione di Baby, da “cocca di papà” sbarazzina a giovane donna emancipata; eppure, non si riesce a percepire la chimica tra i due protagonisti, soprattutto durante il primo atto. La situazione migliora visibilmente durante l’emozionante “presa” in mezzo al pubblico sulle indimenticabili note di (I’ve Had) The Time of My Life.
Il “collante” fra i due protagonisti risulta, infatti essere Marta Melchiorre, che interpreta con dedizione e disinvoltura (soprattutto nella danza) il ruolo di Penny.
Le criticità di un allestimento essenziale
Gradevoli fondali vengono utilizzati per rappresentare le ambientazioni esterne al resort Kellerman, coinvolgendo emotivamente gli spettatori. Tuttavia, scommettere su un allestimento essenziale rende più evidenti le criticità (ad esempio, alcune controscene decisamente superflue); ma soprattutto riduce il potenziale dei performer, in particolare quelli più giovani, ai quali il copione “impone” di esprimere le proprie emozioni facendo a meno del canto.
A sostenerli, soprattutto nella recitazione, ci sono i performer adulti (in particolare Simone Pieroni e Alice Mistroni, ovvero i coniugi Houseman); ad alcuni, tra i giovani, fortunatamente, non mancano i tempi comici, come dimostra Paky Vicenti, nel ruolo di Billy.
Il pubblico sembra comunque gradire, ma di fronte a questo nuovo allestimento è lecito chiedersi se la scelta di privilegiare un taglio drammaturgico decisamente cinematografico non abbia in realtà relegato in un angolo quell’emozionante colonna sonora che ha fatto sognare diverse generazioni.