About Lolita è lo spettacolo allestito nel 2020 dalla compagnia Biancofango per la Biennale Teatro 2020, ripreso e andato in scena anche quest’anno. Un confronto coraggioso della regista Francesca Macrì con il capolavoro di Nabokov.
Con gli interpreti Gaja Masciale, Andrea Trapani e Francesco Villano traccia un nuovo percorso drammaturgico che risale lo scandaloso archetipo del rapporto d’amore tra Lolita, sfacciata tredicenne, e un uomo adulto che va per i cinquanta.
Da Nabokov a un campo da tennis
Lolita. Lo. Dolly. Dolores, nome sui registri degli alberghi. Quattordici anni. Quasi quattordici anni. Un personaggio che è sfuggito dalla penna di Nabokov per farsi archetipo, paradigma amoroso che odora di erotismo e di scandalo.
La drammaturgia di About Lolita, scritta da Francesca Macrì e Andrea Trapani, si scosta dalla ri-narrazione dell’intera vicenda, ritaglia gli accadimenti che nell’opera originale si situano intorno a un campo da tennis e ne fa prisma linguistico e scenografico. Dipana così sessantacinque minuti di spettacolo, tra dialoghi, boccacce, trash food e spossante sfida fisica. La platea si fa spettatrice di una pericolosa partita di uno sport che somiglia al tennis e usa il linguaggio al posto della pallina gialla.
Gomme da masticare e gabbiani
La bravura degli attori sta tutta nella precisione e nell’umanità genuina con cui si accostano alla regia, che bilancia delicatezza e sfacciataggine, essenzialità di elementi e complessità di linguaggio.
Delicato è l’approccio ai grandi temi del romanzo originale, sfacciata come una tredicenne con la sua gomma da masticare (davvero notevole il lavoro di Gaja Masciale) è la Lolita che briga e sbriga pasticci con i due uomini (Humbert/Francesco Villano e Quilty/Andrea Trapani) che se la contendono.
L’essenzialità della scenografia è bilanciata dai riferimenti letterari su cui regia e drammaturgia poggiano, da Jean-Luc Godard al Gabbiano di Anton Čechov. C’è solo da chiedersi se questa regia non potesse sbilanciarsi un po’, certo a rischio di far risultare lo spettacolo più ruvido nella digestione, ma forse più “nabokoviamente” urticante.