Non amo troppo i film-opera, genere che facilmente indulge alla facile spettacolarità, e ad atmosfere talora un po' leccate. Ci si è cimentato anche il Teatro Comunale di Bologna, che ha coprodotto con Rai Cultura questa Adriana Lecouvreur di Cilea che doveva andarvi in scena un anno fa.
Opera finalmente montata e registrata ai primi di febbraio, e messa in onda mercoledì scorso in prima serata su RAI 5. L'operazione in questo caso però offre esiti lusinghieri, visto che la bilancia pende nettamente a favore della teatralissima ed vigorosa regia teatrale di Rosetta Cucchi, e considerato il buon raccordo con quella televisiva di Arnalda Canali.
Quattro atti, quattro epoche differenti
Quattro atti, quattro epoche diverse, quattro figure emblematiche, per questa vera apoteosi di metateatro: questa la proposta allettante di Rosetta Cucchi, vera musicista nell'anima, e psicologa attenta –vedi con quale indifferenza Maurizio calpesta in camerino il copione di Adriana– riuscendo ad utilizzare con sagacia anche alcuni spazi del teatro deserto.
Dopo la Lecouvreur 'storica' in un affollato retropalco della Comédie-Française a metà '700, viene la volta d'una Sarah Bernhardt, o d'una Eleonora Duse, interpreti ideali nel tardo '800 della tragedia di Legouvé e Scribe che ha fornito innesco al libretto di Arturo Colautti.
Segue un lussuoso e trasgressivo tabarin degli 'Roaring Twenties', anni in cui il cinema conquista il pubblico con dive del calibro di Lyda Borrelli o di quella Loïe Fuller che vediamo proiettata sullo sfondo. L'ultimo atto è ambientato in un set cinematografico della Parigi del Maggio '68, in piena Nouvelle Vague: ed ecco Adriana trasfigurata in una Catherine Deneuve in tutina nera, dominata da nevrosi ed assilli esistenziali.
E la scena finale in cui l'attrice - restando avvinghiata sino all'ultimo respiro all'affranto ed impotente Michonnet - dipana un dialogo allucinato con un Maurizio che non c'è, perchè reso dalla regia un ectoplasma immaginario, è una pagina drammaturgica di inaudita valenza.
Quel che conta in un film-opera
Perchè questo molto conta in un film-opera la verosimiglianza recitativa, in aggiunta alla coerente interpretazione vocale. Ed in questo senso Nicola Alaimo si pone nel novero dei migliori Michonnet incontrati nella mia lunga frequentazione dei teatri, in quanto attore credibilissimo, dai tratti teneri e sfumati, oltre che cantante misurato e raffinato.
Abilissima commediante si palesa nondimeno Kristine Opolais, nel confrontarsi per la prima volta con la figura di Adriana: ruolo spinoso eppure molto ambito da alcune cantanti, ma scansato da altre appunto per le irte difficoltà interpretative che comporta. Il soprano lettone recita con notevolissima aderenza psicologica, infondendo grande rilievo a sguardi e movenze, e mostrando una focosa passionalità.
Non è però che vocalmente ci azzecchi del tutto: la linea vocale non è molto imperiosa, l'emissione povera di armonici, le mezzevoci incerte; brillante in compenso il declamato. Accanto troviamo Luciano Ganci, che consegna un ben rifinito Maurizio, mettendo in campo slancio emotivo, bella musicalità e adeguato temperamento tenorile. A completare l'indesiderato ménage à trois, la forte personalità di Veronica Simeoni imprime opportuno risalto all'infiammato ed astioso carattere della Principessa, restando nell'alveo di una vocalità lanciata, poderosa e fremente, ma ben controllata e senza scadimenti veristici.
Un taglio da non fare
Consona la prestazione di Romano Dal Zovo come Principe di Bouillon; sbagliato però togliergli l'aria “Candida, lieve”, che spiega come la vendicativa consorte si sia procurata la polverina venefica. Nelle parti di fianco spicca per vivida sapidità l'Abate di Gianluca Sorrentino; Elena Borin è M.lle Jouvenot; Aloisa Aisemberg, M.lle Dangeville; Luca Gallo, Quinault; Stefano Consolini, Poisson. Dirige con solida professionalità l'israeliano Asher Fisch, mostratosi assai attento a scavare nella raffinata orchestrazione, pervasa di cromatismi d'ascendenza wagneriana, sia a rendere al meglio il fascino dell'atmosfera eterogena di quest'opera dove lo stile di conversazione assume eccezionale rilievo, mischiando abilmente declamato e canto; e nella quale le melodie principali s'inalberano in continui frammenti di corto respiro.
I nostri giudizi, ovviamente, devono fare i conti con la ripresa sonora televisiva. Ben altra cosa è giudicare dal vivo...
Le efficaci soluzioni scenografiche, i bellissimi costumi e le luci li dobbiamo rispettivamente a Tiziano Santi, Claudia Pernigotti e Daniele Naldi; le coreografie sono di Luisa Baldinetti, che le interpreta; i video di Roberto Recchia.