Lirica
AIDA

''Aida'' con effetti speciali al San Carlo

''Aida'' con effetti speciali al San Carlo

Secondo il librettista Antonio Ghislanzoni, le «lande ignude» dell’Egitto sono battute da «ardori inospiti» (così canta Aida nel terzo atto per invogliare Radames alla fuga in Etiopia «tra foreste vergini, / di fiori profumate»). Al contrario, al San Carlo di Napoli, dove l’opera di Verdi verrà replicata fino al 2 agosto, il paese africano è dominato da una perenne instabilità climatica, più tipica della fascia monsonica e forse causata dell’attuale global warming. Le nuvole trascorrono rapide e mutano di forma come se si sprigionassero da una trasmutazione alchemica; i lampi squarciano ripetutamente il cielo minacciando improbabili tempeste; un’atmosfera plumbea grava complessivamente sull’azione, tranne che in pochi momenti di quiete notturna nei quali caldi riflessi rossodorati ammantano il profilo severo delle piramidi.

L’incessante variabilità meteorologica è ottenuta con l’impiego insistito e ridondante di apposite proiezioni: un espediente tecnologico più che legittimo e capace di esiti suggestivi, che tuttavia va utilizzato con oculata parsimonia e che, soprattutto, non può surrogare con la sua esuberanza solo apparente la sostanziale staticità di una messinscena. Piuttosto piatta è parsa infatti la regia di Franco Dragone, che pure presentava tratti di sobria coerenza e misurata solennità quando lo spettacolo inaugurò la stagione 2013-2014 nello stesso teatro.

La furia degli elementi (virtuali) annacqua e mette un po’ in ombra i simboli (tangibili) ideati dallo scenografo Benito Leonori, tutti ruotanti intorno all’idea della guerra come distruzione insensata che colpisce indistintamente sia i vinti, sia i vincitori (d’altra parte, nel secondo atto, Amonasro insegna che i destini umani sono fragili e mutevoli: «oggi noi siam percossi dal fato, / doman voi potria il fato colpir»). Le colonne sospese e inclinate sembrano suggerire che nella grandezza del potere si annida già il tarlo della decadenza, mentre le corde che calano dall’alto a incorniciare l’azione sono catene che ingabbiano non solo gli Etiopi sconfitti ma anche gli Egiziani (momentaneamente) trionfanti. E gli schiavi che popolano di continuo la scena, disumanizzati, ridotti a ombre lacere (con la complicità della costumista Giusi Giustino) e fatti sfilare anche in platea, non sono forse un richiamo al risvolto tragico di qualunque vittoria?

Dal podio, Pinchas Steinberg guida con gesto ampio e sicuro strumentisti e cantanti e passa con disinvoltura dalle sonorità piene e squillanti dei momenti marziali alle trame lievi e misteriose delle situazioni più intime e raccolte. Il cast vocale annovera interpreti di livello apprezzabile. Nei panni della protagonista, Kristin Lewis, specialista di ruoli verdiani, si distingue per l’intonazione precisa e il bel colore che compensano il volume limitato. La potenza non difetta ad Antonello Palombi (Radames), che però non sempre controlla a dovere la voce e si lascia andare a qualche sbavatura. Nino Surguladze (Amneris) ha emissione limpida e buon temperamento. Giovanni Meoni delinea con tratto sicuro il carattere di Amonasro. Attorno ai protagonisti si muovono Riccardo Zanellato (Ramfis), Dario Russo (il Re) e Antonello Ceron (il Messaggero). Una menzione a parte merita Rossella Locatelli, particolarmente incisiva nei brevi interventi della Sacerdotessa.

Visto il 19-07-2016
al San Carlo di Napoli (NA)