Altri amori 2, la collettanea di atti unici brevi presentati al teatro Belli, primo dei due spettacoli inediti per questa 15ma edizione della Rassegna Garofano verde Scenari di teatro omosessuale, ha proposto una selezione di testi scritti da Pietro Dattola, Irene Canale, Carla Giulia Casalini, Allegra De Mandato, Alessandro Fea, Serenella Martufi, Chiara Santaniello, interpretati tutti dagli stessi quattro attori (e attrici): Cloris Brosca, Paolo de Vita, Bianca Nappi e Davide Gagliardini.
Tranne Pietro Dattola, gli altri autori sono abituati a lavorare insieme, o nella scrittura a più mani (com'è il caso di uno dei testi qui proposti) o in precedenti operazioni simili, cioè di "corti" assemblati in uno spettacolo unico.
Non troviamo felice la definizione di "corti" per questi atti unici brevi. Sarà che il termine di derivazione cinematografica ha poco a che fare col teatro, e poi le alternative non mancano: oltre ad "atto unico breve", si poteva dire pièce, sketch, quadro... Insomma l'innovazione della forma testuale mal giustifica l'impoverimento del lessico italiano.
La formula però funziona, permette di abbassare i costi, di compattare una compagnia su più fronti narrativi, un po' come succedeva, mutatis mutandis, ai film italiani a episodi degli anni 60.
Quello che non convince di Altri amori 2 è la diversissima caratura dei testi proposti.
In Nomine Patris di Pietro Dattola (uno degli autori della sua generazione più premiati) racconta di un uomo non più giovane che cerca conforto nella confessione, dove il caso vuole che incontri proprio il giovane prete di cui è stato l'amante, al quale rende nota la propria sieropositività. Un argomento serio e triste (ma ormai trito, soprattutto nell'ambito di una rassegna di teatro omosessuale) trattato con fastidiosa approssimazione e senza una vera ragione di essere. Nè atto di accusa (nei confronti di chi poi?) né denuncia, ma solo un momento di imbarazzante noia: peccato che il regista Marcello Cotugno abbia deciso di aprire Altri amori 2, fra i tanti (troppi), con il testo più debole e meno originale, così l'esordio è un vero e proprio tonfo. Ma (ricordate?) sono "corti", quindi si passa subito, con fin troppa disinvoltura (sono addirittura gli stessi attori a spostare gli oggetti di scena e le scarne scene passando da un "corto" all'altro) alla seconda pièce, La guardiana di Irene Canale, che tutto deve alla verve interpretativa della magnifica Cloris Brosca (non vi azzardate a ricordare il suo ruolo di Zingara nell'omonimo programma tv, Cloris è una vera Attrice e in questo spettacolo lo dimostra ripetutamente) che interpreta una sgangherata guardiana di bagno pubblico, dai denti guasti, che si innamora di una giovane cliente... Un testo in bilico tra comicità e drammaticità, troppo breve però (...è un corto!) per poter capire a quale delle due anime la sua autrice creda di più.
E' poi la volta di Corto Ghei di Chiara Santaniello, dove si racconta di un fratello e sorella che vivono in una famiglia composta da due mamme, i quali si preoccupano perché, per un tradimento della madre, che è stata vista baciare un altra donna, temono che il giudice che ha autorizzato l'affidamento possa rivedere la loro assegnazione e dividerli.
Uno dei testi più interessanti, nei quali si esplorano le frontiere della nuova famiglia che, nonostante quel che pretendano i conservatori, è già oltre
a testimoniare nuovi orizzonti di affettività.
Ruolo difficile da interpretare e nonostante ce la mettano tutta Davide Gagliardini e Bianca Nappi non sono sempre all'altezza dei loro personaggi, due giovanissimi in bilico tra l'ingenuità che si ha ala loro età e una maturità da adulti cui li ha condotti la loro storia familiare. Più che a una loro mancanza la responsabilità è della regia che sembra averli mandati allo sbaraglio senza adeguate linee guida.
The Cage di Alessandro Fea è un altro dei testi meno riusciti, che ripesca nell'armamentario retorico delle carceri femminili (partenopee) e tradisce l'immaginario etero del suo autore che non sa districarsi tra amori saffici e vita dura da carcere. Inutile e indolore.
Due Mamme di Carla Giulia Casalini, invece, esplora un'altra compagine familiare, quella che vede un padre di una ragazza ormai adulta, convivere con una trans. Tema interessante che però cade in un equivoco ontologico. L'autrice per bocca della giovane figlia dà al trans e a suo padre dei froci. Ora, una trans non è gay, è un uomo che si sente donna e da donna ama un uomo. Eppure nel testo nessuno, né il trans, né il padre, si peritano di correggere lo svarione della giovane. Ma il pubblico ride e nessuno sembra farci caso. Noi sì.
Bravi gli attori, soprattutto Paolo De Vita nel ruolo del padre (un po' meno Davide Gagliardini, negli altri corti brillante, ma qui un po' a disagio nei panni di una trans).
Improvvisamente di Allegra De Mandato sfrutta appieno i video di Youtube, che, gestiti da un pc in scena (ma siamo sicuri si tratti di finzione scenica) e proiettati sulla parete di fondo, nei "corti" precedenti ha funto più o meno da scenografia e/o sottofondo musicale e quant'altro. Qui invece è il corto a essere in video, il video-messaggio di una giovane ragazza che lascia il suo uomo, più grande di lei, per una donna. Soliti temi (compresa la raggiunta dell'orgasmo, mai avuto, prima, con lui...) ma che nella recitazione di Bianca Nappi diventa meno banale di quel che può sembrare a descriverlo.
Vendetta di Chiara Sananiello e Serena Martuffi è uno di quei testi che funzionano sulla carta (come testo da leggere) ma in scena non riescono a ingranare. Racconta del corteggiamento-sfida tra due rapper che si sono amati in passato e ora si ritrovano. Bianca Nappi e Davide Gagliardini ce la mettono tutta nel cantare rap, ma è meglio lasciare certe fatiche a chi fa il rapper di mestiere...
La regia qui è interessante, nella scelta, probabilmente obbligata per l'organico degli attori, ma non scontata, di far interpretare uno dei due ragazzi a un'attrice. Ne nasce un momento di teatro sincero dove quel che conta sono le dotti dell'attore (dell'attrice) e non il sesso di appartenenza.
La seconda parte dello spettacolo è più coerente e meglio riuscita nell'assemblaggio dei corti della prima.
Corto ghei due di Chiara Santaniello affronta un'altra variante familistica degli amori omoerotici e racconta di due fratelli, uno, più grande, dichiaratamente gay (con tanto di foulard come da cliché), l'altro più giovane e dall'inconfessabile bisessualità. Lo sgomento del fratello gay di saperlo come lui, riflessione interessante, lascia subito posto, in scena, alla futura moglie del giovane, che aspetta un figlio dal giovane. Anche in questo caso avrebbe giovato all'economia del dramma un respiro più lungo (un poco, non troppo) di quello concesso dalla formula del corto. Si ha la sensazione che tutto rientri negli angusti spazi dello sketch con un effetto di inopportuna superficialità spacciata per leggerezza.
Tre di Serenella Martufi, il più coerente e riuscito dei corti proposti, racconta di come una delle possibili evoluzioni affettive di controtendenza rientri nell'alveo della famiglia borghese dalla quale era nata: un uomo e una donna non più giovani, entrambi amanti dello stesso ragazzo, che proprio quella sera compie trent'anni, annunciano al giovane che hanno deciso di sposarsi e di crescere da soli il figlio che la donna sta per avere (il cui padre è il giovane) lasciandogli come regalo una gigantografia in b/n e che li vede ritratti tutti e tre insieme, colti in un momento di felicità pregressa. Un testo felice (con più di una reminiscenza dal romanzo "Kurwenal" di Yves Navarre dal quale Léa Poll ha tratto un film) al quale corrisponde una felicità nella regia e nell'interpretazione (Brosca, De Vita e Gagliardi, nel suo ruolo migliore della serata).
Hyena di Irene Canale è uno stanco testo a tesi, che vorrebbe dimostrare la affinità tra l'immoralità della classe politica (nei panni di un parlamentare amante di due giovani e arrivisti fratello e sorella) e l'amoralità delle giovani (de)generazioni sessualmente disinibite. Un testo che non dice davvero nulla insistendo stancamente su cliché inutili e stantii.
Contro Natura è un testo brillante che prende garbatamente in giro i tanti sforzi politically correct di due genitori alle prese con il figlio presunto omosessuale, ma quando il ragazzo confessa ai genitori di volersi sposare con la sua professoressa dell'università, molto più grande di lui, il contronatura buttato fuori dalla porta per l'omoerotismo rientra di prepotenza dalla finestra per bocca della madre che si oppone a quel matrimonio (in chiesa...). Felicità di regia (con gli attori "in parte" già quando, come al solito, spostano scene e accessori sul palco tra un "corto" e l'altro) e di recitazione (di nuovo Brosca, De Vita e Gagliardini).
Just Like Candy è il racconto elegiaco di un malato non più giovane che corteggia, ricambiato, un giovane e bellissimo infermiere del turno di notte. Ma quando in un momento di preveggenza si ritrova solo e abbandonato dopo aver trascorso col suo nuovo amore momenti inenarrabili di gioia e amore (platonico, visto che per l'operazione che lo costringe in ospedale la sua vita sessuale è menomata) rinuncia a uscire col giovane che si stupisce del suo rifiuto. Splendido il monologo di Paolo De Vita.
Per Strada, di Serena Martufi (vera rivelazione tra gli autori di questa tornata di corti) toccante, surreale e convincente, grazie anche alla coppia Brosca-Nappi, racconta di una donna che si rivolge a una passeggiatrice per verificare se le piacciono davvero le donne come sospetta di se stessa... La giovane ragazza si nega, rifiuta, e poi alla fine, quasi di controvoglia, ma condotta da un sentimento di solidarietà, umana prima ancora che femminile, acconsente. Un testo niente affatto volgare ben equilibrato dalla bella prova delle due attrici.
E mentre gli attori si prendono gli applausi (forse un po' meno di quelli che meriterebbero, ma è domenica pomeriggio e tutti sono pronti a scappare a casa a vedere gli europei di calcio, lo spettacolo è stato anticipato al pomeriggio all'uopo...) proviamo a fare il bilancio di un'operazione che si regge più sulla forza degli attori che su quella dei testi. Racconti rapsodici, al limite del bozzetto, che finiscono più col far rammaricare per quel che avrebbero potuto e non fanno piuttosto che per quel che riescono a dire (tranne le eccezioni di cui si è detto). Dispiace vedere ancora che tanti cliché sono duri a morire (ma capiamo che il loro impiego facilita la brevità richiesta per ognuno di questi testi) e infastidisce il fatto che non tutti (ma alcuni sì...) questi lavori nascono dalla sincera urgenza di voler raccontare qualcosa al pubblico. Di una cosa si può essere certi: Altri amori 2 è uno spettacolo di teatro, fatto per il teatro da autori e attori che amano il teatro e, anche rispetto ad altre produzioni in cartellone in questa rassegna, in fondo a uno spettacolo non si può chiedere molto di più. Cioè si dovrebbe, ma si rischierebbe di infierire troppo su chi testardamente almeno prova a fare teatro.
Il connubio fra gli autori che scrivono in collaborazione e vedono assemblati i propri testi in vari spettacoli nuoce ai testi stessi che rischiano di non essere percepiti come pièce individuali, accomunate dall'argomento omoerotico, ma come i passaggi di un unico testo, frammentario, contraddittorio, a tratti confuso e confusionale. Lo spettacolo infatti procede con qualche fatica (avrebbe giovato l'espunzione di un paio di corti) e alla fine ci si chiede se non sarebbe stato meglio scegliere magari solo un tre-quattro testi, svilupparli in maniera meno larvale e portarli in scena con maggior convinzione.
Ma come spiegano i giovani autori (e anche gli impresari) l'esperimento dei corti funziona e va dunque continuato.
Peccato per le due uniche date di cartellone. Lo spettacolo avrebbe meritato più repliche per avere il tempo di decantare e regalare copioso il liquore segreto che in questa prima rappresentazione ha saputo distillare con parsimonia.
Roma, teatro Belli, 22 giugno 2008
Visto il
al
Belli
di Roma
(RM)