E' esemplare l’Amleto immaginato dal Teatro del Carretto, un affresco gotico e melò, in cui gli interpreti, guidati con estro ed efficacia dalla direzione registica e coreografica, spendendosi totalmente nella tensione e nel confronto, ricreano la tragica vendetta del principe tradito, l’epilogo drammatico di un duello archetipico ed eterno che sempre si propone tra ciò che appare e ciò che è, tra l’ombra vagante che si dichiara in vita e la vita dispersa che si rabbuia nell’ombra.
Seguendo una tradizione ormai consolidata per il gruppo, il progetto elaborato da Maria Grazia Cipriani si muove anche in questa circostanza tra momenti di trasfigurazione fantastica e visionaria della modernità e l’estetica sovrabbondante di una scenografia che, accordandosi in maniera significativa ed armonica con la messinscena, si offre come vera e propria installazione d’arte, restituendo allo spettatore l’impressione di un’esperienza artistica composita, a tratti totale, in cui si incontrano e si fondono diversi codici e diversi sistemi di segni, il cui unico obiettivo resta quello di mettere in evidenza il dramma dell'uomo oppresso dalle ben note speculazioni esistenziali. L’uomo oppresso dai fantasmi, dal dubbio, dall'essere e dal non essere.
L’anima di Amleto, avendo compreso di non poter più ridurre l'universo a semplici formule, orfana della propria ragion d’essere, emerge crucciata quale protagonista dell’intera vicenda, annaspando talora a fatica nelle sabbie mobili di un destino assai ambiguo, e vive, non senza sofferenza, la propria condizione schizoide ma innegabilmente umana, la propria organica incoerenza, il proprio altalenante essere nell'essere e nel non essere, nel fare e nel non fare, nell'agire e nel restare inerte.
Alle spalle di Amleto, il canto di Gertrude – una magnifica Elsa Bossi - ed il ghigno del Re; davanti ad Amleto, un teatrino in miniatura con i personaggi del dramma che vanno svanendo ad ogni colpo mortale: “Proveremo a leggere il testo nella prospettiva del protagonista – spiega la regista - con le altre figure, fantasmatiche o reali, filtrate dalla sua sensibilità o dalla sua immaginazione: proiettando il dramma come in un sogno in una riscrittura che attraverso spostamenti, cesure e montaggi caratterizzi una struttura che pur dal taglio quasi cinematografico, metta in evidenza o infranga ogni convenzione teatrale, sempre sovrapponendo moto tragico a moto”.
L'intero dramma viene calato in una dimensione onirica, una certa visionarietà performativa evoca perfino la copula rilkiana dell’Engel Und Puppe poiché, sebbene non siano automi quelli in scena, la prospettiva d’osservazione manifesta qualcosa di gnostico, di arcanamente suggestivo: il profilo universale del protagonista, le sue ombre interiori, i suoi tormenti, il suo sempre attuale vacillare, la dichiarazione che tutti noi “sappiamo ciò che siamo, ma non sappiamo ciò che potremmo essere”.
Visto il
17-03-2010
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India
di Roma
(RM)