Lirica
ANDREA CHENIER

Andrea da bis

Andrea da bis

Avevamo visto Andrea Chénier a Genova l’ultima volta nel 2009 in uno dei momenti più critici dell’Ente genovese; a distanza di qualche anno l’opera più celebre di Umberto Giordano viene riproposta nel medesimo  allestimento ma è il teatro che sembra essere rinato, come dimostra la sala piena e un pubblico partecipe e variegato (tanti giovani, stranieri e perfino bambini) che non si stanca di chiedere il bis. In scena il collaudatissimo e sempre efficace spettacolo ideato nel 2001 da Lamberto Puggelli, che piace per la cura visiva di scene e costumi, ma anche perché rende immediatamente fruibile e comprensibile la vicenda in un riuscito equilibrio fra storie individuali e la Storia sullo sfondo. La produzione ha il pregio di dare di Andrea Chénier una visione complessiva dove assumono giusto risalto sia le pagine solistiche celebri, che hanno determinato il successo dell’opera, che gli interventi corali e le pagine “minori” ma comunque importanti nell’economia dell’opera:  i due piani narrativi, il collettivo e l'individuale, s’intrecciano con efficacia e sembra che uno determini l’altro.

Con trasformazioni sceniche a vista Paolo Bregni ricrea con naturalezza e precisione (complici le luci di Luciano Novelli e gli splendidi costumi di Luisa Spinatelli) i diversi ambienti in cui si dipana la vicenda, scandendo le diverse fasi della Rivoluzione francese. Particolarmente riuscita la transizione dall’ancien regime alla rivoluzione, quando alla fine del primo atto la scena si svuota dalle leziose volute di ferro frondose del giardino d’inverno e i nobili incipriati dalle smisurate parrucche bianche che ricordano le chiome di alberi  s’inabissano a passi di gavotta, inghiottiti dal palcoscenico sotto una luce sempre più livida e fredda, mentre avanza un mondo nuovo di maestranze che spostano a vista imponenti architetture lignee che evocano la ghigliottina e che caratterizzeranno gli atti successivi. La scena è divisa in due piani visivi differentemente inquadrati da pannelli mobili che aprono e chiudono prospettive, spostando l’attenzione sui movimenti delle masse che sfilano veloci come la Storia sulla città abbozzata sullo sfondo e sui drammi ancora “romantici” dei protagonisti: amore, amor di patria, amicizia, sacrificio.
L’allestimento è fedele al libretto e all’epoca storica ma soprattutto rende la complessa vicenda  leggibile e appassionante, merito di un movimento scenico pertinente e di uno spazio capace di modularsi sulla drammaturgia con naturalezza filmica.  Avevamo già apprezzato l’allestimento ma rivedendolo ci piace ancora di più; l’unico punto debole è l’aver previsto tre intervalli che, considerata la durata complessiva dell’opera, dilatano inutilmente  i tempi della rappresentazione con evidente calo dell’attenzione.

Nuovo il cast. Gustavo Porta ha sostituito, nella recita domenicale a cui abbiamo assistito, il previsto Massimo Giordani: di Andrea Chénier ha sicuramente lo slancio e una voce possente, ma povera di colori e dall’emissione poco omogenea e ne risente soprattutto il poeta. Della Maddalena di Norma Fantini si apprezza l’aver saputo tratteggiare l’evoluzione psicologica del personaggio e la sua progressiva virata drammatica; la cantante  ha eccellente  dizione e capacità di accento e convince nei momenti di dolcezza e abbandono, si ravvisa però qualche tensione negli acuti nei passaggi più drammatici. Ci è piaciuto il Gérard di Alberto Gazale, nitido e ben timbrato dall’interpretazione all’insegna dell’amarezza e della riflessività  che non cerca il facile effetto, anche se si vede “costretto” a concedere a furor di popolo  il bis di Nemico della patria. Sofia Koberidze è una Bersi disinvolta; per stile e dizione ci è piaciuto il Sanculotto Mathieu di Roberto Maietta; Paolo Maria Orecchia è Roucher ed Enrico Salsi è l’Incredibile. Ben caratterizzate  la Contessa di Coigny di Elena Traversi e la Madelon dolente di Alessandra Palomba; adeguati tutti gli altri comprimari: Dario Giorgelè (Fléville e Fouquier), Enrico Cossutta (l’Abate), Alessandro Busi (Schmidt), Loris Purpura (il Maestro di casa) e Roberto Conti (Dumas).

Alle prese con un’opera verista Giampaolo Bisanti predilige una direzione impetuosa e sanguigna che, se da un lato mantiene viva l’attenzione dello spettatore forte di una pregevole continuità narrativa, dall’altro tende a coprire con la poderosa massa orchestrale le voci soliste nei culmini drammatici. Intensa la prova del Coro (a cui la regia di Puggelli conferisce grande rilievo) preparato da Pablo Assante.

Teatro pieno e grande successo da parte di un pubblico calorosissimo ed entusiasta come hanno dimostrato le numerose richieste di bis e gli applausi prolungati durante e alla fine dell’opera.

Visto il 17-04-2016
al Carlo Felice di Genova (GE)