Nella tragicommedia diretta da Filippo Dini il pubblico prima ride di gusto alle battute di Giovanni Esposito e poi si appassiona alla protagonista femminile Barbora Bobulova. Buone le interpretazioni di Antonio Catania e Gigio Alberti.
Nella tragicommedia diretta da Filippo Dini il pubblico prima ride di gusto, divertito dall’irresistibile comicità di Giovanni Esposito, e poi si appassiona empaticamente alla tragedia vissuta dalla protagonista femminile, interpretata in maniera fortemente emozionale da Barbora Bobulova.
Anfitrione ha una scenografia semplice e realistica che accoglie la platea trasportandola letteralmente all’esterno del teatro: è notte, profondamente buia, nel bel giardino di una villa del modenese e la luna piena e alta nel cielo è l’unica luce che risplende e illumina d’argento l’ampio balcone al secondo piano, dalle colonne e i dettagli che richiamano alla memoria lo stile greco. Questa è la scena che trova anche il personaggio di Sosia non appena, molto comicamente, tenta di rientrare a casa sua dopo un lungo viaggio.
Plauto e l’invenzione della tragicommedia
Anfitrione è la prima tragicommedia mai scritta. Composta dall’autore latino Plauto alla fine del III secolo a. C., l’opera viene inizialmente concepita come una commedia nella quale, però, vi è anche l’intervento di Giove e Mercurio, divinità per le quali nei teatri ellenici, invece, sino ad allora era solitamente riservato il genere della tragedia. Così Plauto si mette al riparo con un ingegnoso espediente narrativo e stilistico: nel prologo della rappresentazione utilizza proprio la voce di uno dei suoi personaggi, Mercurio, per qualificare l’opera con la definizione di “tragicomoedia”.
Anfitrione è, inoltre, anche un classico esempio di commedia degli equivoci: la confusione, in questo caso, è creata dalla personificazione divina, con tanto di furto d’identità, e dalle interazioni prevaricanti e persuasive degli dèi con gli umani.
Un classico reinterpretato in chiave moderna
Anfitrione (Antonio Catania) ha inaspettatamente vinto le elezioni e il suo autista Sosia (Giovanni Esposito) si trova improvvisamente a tu per tu con un altro sé, identico, che con abilità e minacce riesce ad annichilirlo. Contemporaneamente Alcmena (Barbora Bobulova) ha una lunga notte di passione con il marito Anfitrione, divenuto di colpo l’uomo ideale: colto, focoso e premuroso. Ma la realtà non è come appare: Mercurio e Giove hanno infatti assunto le sembianze di Sosia e Anfitrione per consentire finalmente al re di tutti gli dèi di soddisfare la sua passione per Alcmena. Quando il vero Anfitrione tornerà da sua moglie inizierà il vero dramma, Alcmena rasenterà la follia, e soltanto l’intervento risolutivo di Giove (Gigio Alberti) svelerà la realtà.
Ottime interpretazioni di Esposito e Bobulova
La riscrittura di Anfitrione operata da Sergio Pierattini è davvero piacevole: la commistione dell’intervento degli dèi nella trama moderna è affascinante e funziona, inoltre è riuscito a rendere con efficacia lo stereotipo del nuovo politico anticasta, così rozzo e vendicativo quanto ignorante e giustizialista, grazie anche alla buona performance interpretativa di Antonio Catania.
Ottima anche la presenza scenica di Gigio Alberti, un Giove autorevole e misurato, senza mai esagerare nel ruolo. La comicità irresistibile di Giovanni Esposito alza il ritmo della rappresentazione attraverso battute esilaranti e sdrammatizza la tragedia con l’utilizzo di una gestualità che trascina il pubblico in profonde risate.Barbora Bobulova interpreta il ruolo di Alcmena con un tale carico emozionale, in particolare nei momenti più drammatici, da scatenare un’empatia drammaturgica che contagia la platea. Filippo Dini dirigendo la coppia Esposito-Bobulova crea un meccanismo che è il vero punto di forza della rappresentazione, un vero equilibrio tra commedia e tragedia.
Da rivedere, invece, l’accompagnamento musicale, poco funzionale all’atmosfera della storia poiché non riesce a sottolinearne le numerose emozioni. Debole il finale della trama, con la presa di coscienza dei protagonisti che appare sottotono rispetto alla grande forza narrativa che pervade l’intera storia.