Danza
ANOTHER EVENING

DANZA. all'infinito

DANZA. all'infinito

Venezia. Biennale Danza. Attendiamo una sorpresa, entrando al Teatro alle Tese dell’Arsenale per assistere allo spettacolo conclusivo del settimo Festival Internazionale di Danza Contemporanea: Another Evening: Venice/Arsenale, di Bill T. Jones.
Con la fedele collaboratrice Janet Wong e i membri della Compagnia, il coreografo afro-americano ha dedicato alla Serenissima una nuova inedita composizione rielaborando, come già a Londra, Parigi e New York, parte del suo repertorio in continua evoluzione tra immaginazione visiva, approccio stilistico al movimento, musica, canto e scenotecnica.
Entrando nell’architettura cinquecentesca dell’Arsenale si respira il fascino di una scena aperta a vie di fuga e ad ampi spazi, delimitati da archi e colonne antiche, dove incontriamo subito i danzatori all’opera, in un prologo che accompagna l’ingresso del pubblico.
Lo spettacolo ha inizio su un corridoio laterale sopraelevato, dove appaiono prima uno, poi due e via via uno dopo l’altro, tutti i danzatori, assecondando il proprio movimento a quello del compagno vicino. Disegnano lentamente figure plastiche in successione; si intersecano, si disgiungono e si riuniscono, come anelli di una catena umana che allungandosi avanza fino al palco centrale. Una catena variopinta non solo nelle tonalità, dai blu ai verdi al rosa e al rosso, dei semplici costumi, disimpegnate tenute da allenamento, ma altresì nelle diverse fisicità ed etnie dei nove ballerini. Quasi un campionario dell’umanità, e delle sue razze, che per un attimo, prima di entrare nel vivo della performance, si staglia ai nostri occhi in un’immagine ferma, in posa. Un frame rubato ad un processo generativo che potrebbe continuare all’infinito.
Ma ecco che, scanditi da un tocco sonoro o da un “Go!” urlato a turno dagli interpreti, prendono vita sulla scena articolate composizioni di contact-improvvisation; sequenze di potente eppure fluente fisicità perfettamente sincronizzate, grazie alla tecnica libera ma stilisticamente rigorosa di Bill T. Jones, laddove il movimento spontaneo sottende sempre uno studio, anche di arti marziali e danza classica.
Il gruppo si scompone e ricompone continuamente irrompendo con assoli, duetti, terzetti e lavori d’insieme, disposti nello spazio secondo una equilibrata regia, che i tagli di luce bianca evidenziano illuminando le porzioni di palco interessate dall’azione. Tutto scorre fluidamente come un racconto i cui personaggi entrano ed escono a rotazione oppure a loro volta assistono, se non è il loro turno, all’episodio in corso. Una narrazione per capitoli che, accompagnata dalla musica originale di Sam Crawford, in cui si inserisce una voce infantile fuori campo, abbassa e alza la tensione emotiva; si passa dal dinamismo travolgente di prese aeree, salti, spinte e tuffi di danzatori accolti e rilanciati nella mischia dai compagni, a più lenti intrecci di corpi che si distendono e si sollevano, che fluttuano uno sull’altro e l’uno intorno all’altro fino a ricomporsi in un nuovo tableau vivant di pose statiche, al centro del palco.
Un alternarsi di “stop and go” che ci parla dell’essere umano: la potenza e la rivalità maschili, la consolazione femminile, la solitudine, il corteggiamento e l’amore tra un uomo e una donna, la fuga e il ritorno nel gruppo, l’amicizia, la fragilità. “Fragile” - in inglese - è infatti la parola ripetuta a cantilena dal coro che improvvisamente si compone dietro ai microfoni allineati sullo sfondo, a ridosso del muro delle Tese. Su una musica dirompente, i danzatori si trasformano in cantanti urlanti una filastrocca di imperativi quotidiani: alzarsi, vestirsi, prendere la macchina, andare al lavoro, andare a dormire e finalmente sognare. Ma fuori dagli schemi siamo tutti esseri fragili. Bill lo traduce creando sensazioni sfrenatamente metropolitane e parallelamente intime emozioni. Tramite la forte espressività dei movimenti, connaturati per altro alle differenti corporeità degli interpreti, regala attimi di riflessione sulla socialità, le relazioni e i caratteri umani; Nella sfrontata esibizione atletica inserisce una gestualità dimessa e naturale, come un abbraccio dopo un litigio, l’adagiarsi di una delle fanciulle (l’esile I-Ling Liu) che porta la mano alla fronte in segno di sofferenza, mentre le compagne la sostengono, o la reazione infantile di chi (il minuto Peter Chamberlin) preso in braccio, come un bimbo scuote la testa. Ci ritroviamo e ci riconosciamo inoltre benissimo in quel correre vorticoso della massa, mentre qualcuno resta indietro o va in direzione opposta, oppure in quell’individuo che tenta di uscire dai ranghi, forzando uno schieramento di corpi, linea ideale di demarcazione, da cui viene fatto violentemente rientrare.
L’epilogo riporta ciclicamente all’inizio. La ripetizione di alcune sequenze già viste ci ricorda il passare del tempo e il ricominciare delle nuove generazioni che prendono il posto delle precedenti. Quindi il saluto e l’uscita a ritroso sulla passerella di ingresso, con i danzatori sempre armoniosamente in fila uno dopo l’altro. Ma se ne vanno individualmente, fermandosi per un attimo prima di uscire, sotto una nuova luce. Forse qual’cosa è cambiato. Entrano in scena Janet Wrong e una bimba – sua la voce fuori campo – vestite elegantemente di nero. Sono rimaste sedute a lato per tutto lo spettacolo e tocca a loro dare l’ultimo commiato: un addio e una rinascita al tempo stesso.
Il lungo applauso del pubblico riconferma un successo che dura da più di venticinque anni, dal 1982, quando Bill T. Jones irrompeva a Brooklyn con Intuitive Momentum, insieme al batterista Max Roach, e mai diminuito anche dopo la perdita del compagno di vita e d’arte Arnie Zane nell’88.
Un successo spesso segnato dallo scandalo per la bruciante attualità con cui ha denunciato le discriminazioni, i pregiudizi, il razzismo, la guerra, la malattia e il dolore, come nel recente musical Fela!, dedicato al profeta dell’Africa ribelle: Fela Kuti. Di più ampio respiro tuttavia gli affreschi storici degli ultimi tempi - ora in tournée la prima parte del trittico dedicato ad Abramo Lincoln, Serenade/The Proposition – e la serie Another Evening costruita su spazi specifici. Nessun tema preciso in questo caso, ma creazioni che come sempre interrogano attraverso la magia della danza. Davvero una gradita ed emozionante sorpresa quella preparata per il gran finale veneziano.

Visto a Venezia, Teatro alle Tese, Arsenale, il 12 giugno 2010

ALESSANDRA ZANCHI

Teatro alle Tese - Arsenale
Bill T. Jones/Arnie Zane Dance Company
Another Evening: Venice/Arsenale (2010) [prima assoluta]
ideazione e direzione Bill T. Jones
coreografia Bill T. Jones con Janet Wong e i membri della Compagnia
musica e sound design Sam Crawford
scene Bjorn Amelan
luci Robert Wierzel e Laura Bickford
costumi la Compagnia
testo originale Bill T. Jones - voce del bambino Mieke Matteson
testi e musica ulteriori: The Battle Hymn of the Republic di Julia Warde Howe, 1861 / The Soldier’s Faith di Oliver Wendell Holmes, Jr., pronunciato alla Harvard University, Memorial Day, 30 maggio 1895 / Red River Valley di James J. Kerrigan, 1896 / Dixie di Daniel Decatur Emmet, anni ’50 del 1800
Another Evening: Venice/Arsenale è stato sviluppato durante una residenza al Bard College in parte finanziata dal New York State Council on the Arts, agenzia di Stato
in collaborazione con ATER - Associazione Teatrale Emilia Romagna, IMG Artists NY e Gillian Newson Associates

Visto il
al Alle Tese di Venezia (VE)