Asobi è uno spettacolo che indaga su alcune attività ricreative della vita adulta (il rischio, il combattimento, la competizione ma anche il teatro, la danza e le relazioni sessuali) così come sono suggerite e raccolte dal vocabolo capello giapponese che le contiene tutte. Attività considerate di eslcusiva pertinenza maschile (alle donne non è concesso dedicarvisi).
La coreografa Kaori Ito si è lasciata ispirare da questa semplice discriminazione di genere per creare una istallazione tra il teatro e la danza che invita il publico, maschile e femminile, a riflettere sull'atto del guardare che è chiamato a performare a teatro, suggerendone una lettura che vada al di là della semplice constatazione voyeristica dell'atto scopico cambiando punto di vista e prospettiva alla platea.
Il pubblico in sala è chiamato in causa non più come consumatore passivo, esecutore di uno sguardo da posare sul corpo del danzatore e della danzatrice (o dell'attore e dell'attrice) sulla scena, ma è invitato a esercitare con il suo guardare la funzione critica che ogni sguardo porta (o dovrebbe portare) sempre con sè. Una funzione critica che lo spettacolo lo invita a rivolgere a se stesso come è chiarito a inzio spettacolo quando, prima ancora che danzatori e danzatrici, prendano posto sulla scena, le luci illuminano la sala e uomini e donne si ritovano sullo specchio.
L'atto di guardare diventa così uno sguardo (auto)riflessivo e la performance sulla scena del corpo di ballo (due donne e due uomini) diventa una rappresnetazione del lavorio quotidiano col quale gli esseri umani sessualmente declinati in uomini e donne cercano nel mondo reale di rappresentare se stessi.
Il voyerismo che il pubblico è invitato a mettere in atto dallo e nello spettacolo diventa così il correlativo oggettivo della nostra ricerca quotidiana di approdare a una (auto)definizione di soggetti che sono nel mondo partendo dalla nostra datità di corpi adulti sessualmente sviluppati e differenziati.
Una ricerca cui lo spettacolo restiutisce dignità tramite approntando sguardo sessualmente indifferenziaziato che non riconosce una origine maschile alla necessità di penetrare lo spazio conquisitandolo e impossessandosene ma la ascrive all'intero genere umano allestendo l'intero ventaglio di possibilità scopiche concedendosi un'occhiata riflessiva che cerchi di destrutturare le codifiche canoniche dell'essere umano sessualmemte (maschilisticamente) differenziato.
Così la nudità sulla scena è sempre a favore dello specchio e mai direttamnete al pubblico che a quella nudità può guardare solo grazie al riflesso di una supericie semiopaca (perchè variamente corrosa eo sporca) divenendo il simbolo di uno spogliarsi dei ruoli e del contemporaneo riappropiarsi di un corpo non più distinto in base a un criterio anatomico sessuale.
La curiosità scopica abbandona il suo paradigma invasivo penetrativo colonizzatore a favore di una curiosità altra che vede l'uomo e la donna ugualmente diversi in quanto monadi pre sessuate.
L'aspetto ludico si declina secondo le grammatiche di un desiderio che anche quando si fa prevaricatore (come quando i due uomini prendono sessualmente le due donne in un gioco di concupsicienza che sfiora, ma non raggiunge davvero mai, lo stupro) può sovversivamente deviare verso una esplorazione sessuale non penetrativa ma orale (il cunnilingus cui quel violento approccio sessuale inziale cambia di cifra mentre gli urli di ribellione per un atto sessuale non richiesto precipitano in quelli di un paicere sessuale per il proprio corpo diventato finalmente soggetto) dove l'intreccio organico è mosso dall'urgenza di corpi desideranti e non dall'imperativo procreativo che indottrina la differenza sessuale nella schiavitù della norma eteroriproduttiva.
Asobi si avvale del lavoro impeccabile tra danza e performance dei suoi e delle sue intepreti che giocano con la nudità con una generosità che non scade mai nella pruderie del proprio corpo, sempre sostenuta e ribadita dal nitore formale di un passo di danza, tanto nelle coreografie di gruppo quando nei passi a due dove le due donne restano aggrappate ai corpi maschili in uno scambio fisico dove l'organica complessito del corpo prevale sempre sul superorganico antropologico verso una identità fata di integrazione tra corpi, di spoliazione di una serie di sovrastrutture che non si ferma con l'eliminazione dei vestiti (anch'essi non differenziati in maniera sessista) (quell'habitus mentale che pretendiamo iscritto nella biologia) ma si innerva direttamente nel sentire dei corpi (come quando uno dei due danzatori toltosi tutti i vestiti cerca di togliersi anche la pelle tirandosela come a voler dilacerare il confine epidermico tra un dentro e un fuori che avverte come un limite insopportabile.
Una ricerca di identità che non sfocia mai direttamente nelle istanze oppositorie dell'omoaffettività dove lo smarcarsi dalla procreazione è raggiunto dal versante dell'unicità di ogni essere umano (e donnano) che investe il proprio corpo di una vibrante carica erotica che non si catalizza mai nella riproduzione pur non rinunciando alla curiosità per il diversola diversa da sè.
Pur presentando soluzioni formali coreutiche e dramamturgiche che si innestano nella stroia della danza occidentale degli ultimi 30 anni (come non pensare a certi lavori di Enzo Cosimi dei primi anni 80?) Asobi si impone in tutta la sua urgenza etica contemporanea mostrando al contempo il superamento per avvenuto logorio di certe istanze maschiliste e patriarcali (di)mostrando come un percorso di senso e rappresnetazione altro sia non solo possibile ma necessario senza azzardarsi a suggerire già delle soluzioni ma limitandosi a porre l'urgenza della questione investendo il pubblico di una responsabilità squisitamente politica (nel senso più alto e letterale di vita nella città) inchiodandolo alle sue responsabilità senza giustificazioni primigenie di attegiamenti e diversi sentire legati alla differenza biologica qui finalmente restituita al suo grado zero di corpi desideranti che reagiscono in maniera analoga nonostante le presunte differenze biologicamente.
Extra
ASOBI ADULT GAME
La biologia non è un alibi perla discriminazione
Visto il
12-02-2014
al
Auditorium Parco della Musica - Sala Santa Cecilia
di Roma
(RM)