L’accoglienza in sala è diversa dal solito: mentre prendiamo posto degli attori-camerieri invitano gli spettatori a deliziarsi con un piccolo aperitivo. Giusto il tempo di dissetarsi e, vista l’ora, bloccare un po’ l’appetito e lo spettacolo ha inizio.
Un attore esce dal sipario per un provino ma tristemente per lui la compagnia cercava un “personaggio diverso”. La scena, finalmente, si apre e lo ritroviamo nelle vesti di cameriere in un ristorante alle prese col suo primo giorno di lavoro: dovrà pur sbarcare il lunario!
La scenografia è curata, due differenti livelli abitano lo stesso spazio scenico creando una cucina e una finestra, apertura verso la sala del ristorante. Nella cucina si svolgono i fatti; oltre la finestra, invece, c’è quello che lo spettatore può solo vedere attraverso gli aneddoti riportati dai camerieri-attori. La scena non è particolarmente ricca di dettagli ma i pochi oggetti che la compongono sono ben ordinati e facilmente leggibili.
Con il procedere della storia entrano in scena i personaggi, nove in tutto: la figlia del proprietario, la cuoca senza cuore, la commis svampita, il cuoco aspirante regista, la cameriera insicura, il maitre tutto di un pezzo, il cameriere attore, la bella senz’anima e non per ultimo il cameriere tonto.
Le luci sottolineano i diversi momenti della vicenda: chiare e forti ad illuminare la scena mentre i fatti si narrano e i caratteri si delineano; soffuse e oscurate mentre il servizio è nel vivo, come se ciò che accade non potesse essere rivelato.
Le storie sono racconti di vita ordinaria amori, cattiverie, desideri, vigliaccherie, passioni, invidie, sogni e progetti per un futuro migliore.
Lo spettacolo è attraversato da musiche che non interferiscono nella scena ma, al contrario, sottolineano i momenti salienti.
Gli attori si muovono nello spazio con intenzionalità e concordanza creando, occasionalmente, momenti di danza. Di grande effetto il combattimento tra la figlia del proprietario e la cuoca con le padelle, metafora che esplica la conflittualità derivante dai loro opposti caratteri, portata in scena con grande capacità o il successivo scambio dei piatti creato per armonizzare il momento più frenetico e meccanico del servizio, ovvero quello dell’uscita delle portate.
Forse in questo quadro di concordanze stonano un po’ il maitre che risulta a volte forzato e la bella senz’anima, stereotipo ormai consumato, che non riesce a riscattare il suo personaggio neanche nel finale, quando assume le vesti più dure della conduttrice del gioco. Lodevole invece l’arguzia della cuoca e l’espressività della giovane commis.
Il testo scritto da Ludovica Valeri ha delle buoni basi ma nel finale cala un po’ l’intensità dello spettacolo.
Lodiamo l’impegno dimostrato dalla giovane compagnia e dall’autrice che hanno la voglia di mettersi in gioco e di misurarsi con storie di vita quotidiana.