Lirica
ATTILA

Debuttante di lusso

Debuttante di lusso

A Palermo si festeggia un duplice debutto: l’entrata in repertorio di Attila, opera verdiana giovanile mai rappresentata sul principale palcoscenico siciliano, e il debutto di Erwin Schrott, basso-baritono di fama internazionale, nel ruolo protagonista. Lo spettacolo è una nuova coproduzione  con il Comunale di Bologna dove l’allestimento ha debuttato il mese scorso e buona parte della compagnia di canto è la stessa (recensione dello spettacolo bolognese presente sul sito).

Il regista Daniele Abbado adotta un’impostazione registica decisamente asciutta che, se da un lato ha il pregio di non cadere nel mero descrittivismo e in un” barbarico kitsch”, pecca dall’altro di genericità e non riesce a trasmettere il variare di atmosfera di un’opera in cui cornice storica e introspezione psicologica si compenetrano. Il regista non vuole dare all’ambientazione una datazione precisa né tantomeno attualizzare la vicenda ma mettere in scena una situazione bellica (o post bellica) che denuncia la violenza e comunica angoscia e squallore. Tale impostazione risulta debole sul piano della resa teatrale e, anziché avvincere, provoca un senso di “già visto” (cappotti nazisti, salme coperte da veli, luci livide, architetture consumate) che inevitabilmente annoia lo spettatore.
La scena di Gianni Carluccio è una sorta di  contenitore dalle lamiere arrugginite e annerite dal tempo che, nel corso dei (fin troppo numerosi) cambi scena, “si anima” di elementi minimali quali travi, funi  o vele che alludono ad alcune situazioni presenti nel libretto. Il grigio è il colore dominante, pertinente in un contesto di guerra, ma avremmo voluto qualche squarcio di colore in più a supporto della varietà di colori e subitanee accensioni  della partitura verdiana. Inoltre nessun accenno viene dedicato alla natura, che qui svolge un ruolo importante ai fini della “tinta” dell’opera: pensiamo alla descrizione dell’alba,della tempesta sulla laguna, delle folate di vento che turbano il banchetto. Qualche spunto c’è, ma non è sviluppato in modo da diventare idea e la regia passa in secondo piano rispetto all’esecuzione musicale.

Il motivo d’interesse della produzione infatti è il debutto di Erwin Schrott nel ruolo protagonista (presa di ruolo che distingue la produzione palermitana da quella bolognese dove il “debuttante di lusso” era Ildebrando D’Arcangelo) e l’attesa non è stata disillusa. Da tempo l’acclamato Don Giovanni considera di passare a un altro repertorio (Schrott avrebbe dovuto debuttare Attila a Berlino un paio di anni fa ma preferì rimandare)  e la voce ora è pronta per farlo, come ha dimostrato l’ottimo Ramfis l’anno scorso a Roma con Pappano e questo Attila a Palermo. La voce ha una straordinaria comunicativa, merito di un colore e di una pienezza inconfondibili, supportati da un’emissione controllata e una dizione ragionata; rimane da approfondire lo specifico dello stile verdiano per quanto riguarda la varietà di accento e lo scavo introspettivo. Come prevedibile Schrott risulta ideale sulla scena per incarnare il barbaro, l’eroe e anche l’innamorato (la presenza di segno forte di Schrott non è da meno di quella di Samuel Ramey, Attila ineguagliabile) e  per voce e carisma catalizza l’attenzione dello spettatore.

Alle prese con l’impervio ruolo di Odabella Svetla Vassileva rivela dei limiti nei passaggi e nel controllo dell’emissione nelle impennate veementi e nei salti di ottava richiesti dalla tessitura e dunque, per voce e temperamento, funziona meglio nei momenti d’introspezione e  delicato raccoglimento. Fabio Sartori è un Foresto decisamente solido e senza sbavature che dimostra grande dimestichezza con le insidie del ruolo, un po’ generico tuttavia dal punto di vista espressivo. Buona la prova di Simone Piazzola, un Ezio dalla linea vocale curata e dall'emissione fluida come si conviene a un generale romano. Completano adeguatamente il cast il Leone di Antonio di Matteo e l’Uldino  di Antonello Ceron.

Qualche perplessità la desta la lettura di Daniel Oren, che, a sorpresa, risulta poco avvincente e l’orchestra stenta a trovare il giusto piglio drammatico e rigore verdiano. Ci saremmo aspettati da Oren una direzione ben più incandescente dei concertati, scelta forse motivata da esigenze delle voci.

Ottima l’accoglienza alla prima da parte di un pubblico numerosissimo e visibilmente soddisfatto.

Visto il 19-02-2016
al Massimo di Palermo (PA)