Danza
BARBARIANS

La delusione di un grande successo

La delusione di un grande successo

Aperto Festival di Reggio Emilia ha abituato il suo pubblico ad un inizio sempre di altissimo livello, sia per le coreografie presentate, ma in particolare per l’eccellenza dei coreografi. La stagione 2016-2017 non fa eccezione da questo punto di vista, infatti Hofesh Shechter e la Batsheva Dance Company si sono affermati in tutto il mondo per  l’estetica costruita a partire dalla commistione tra la danza popolare mediorientale e la danza nordeuropea, inserite in un tessuto visionario e onirico, che rimanda a riflessioni psicologiche e sociali. Ma come moltissimi grandi artisti, anche Hofesh Shechter ha mostrato un momento poco felice, purtroppo proprio con Barbarians, che forse voleva essere la sua produzione più sperimentale.
In breve, «Sono un uomo di 40 anni, alla ricerca di un brivido» dice la voce fuori campo di Hofesh Shechter nella prima pièce per sei danzatori di  questo nuovo spettacolo  The barbarians in love. Shechter intende indicare un percorso intorno ai temi dell’intimità, della passione e della banalità dell’amore? In realtà il risultato è   stravolgere i sensi  disorientando per la mancanza di corrispondenza tra la scenografia e la coreografia, caratterizzata da ritmi forsennati e martellanti  e  da un accompagnamento musicale su note di François Couperin e musica elettronica dissonante.
La seconda parte, tHE bAD,  non potrebbe avere titolo più calzante. Cinque danzatori in tute dorate esplodono tra ritmi hip hop carichi di percussioni. Lasciati gli accenni tribali della prima coreografia, questa seconda parte sembra suggerire solo una ossessiva auto-riflessione sul primo pezzo, con una coreografia priva di originalità.
Chiude Two completely different angles of the same fucking thing, coreografia che Shechter ha scritto inseme a Bruno Guillore, Winifred Burnet-Smith e Hannah Shepherd. Questa parte conclusiva è dominata da un duetto che vorrebbe unire tutte le parti della serata, ma lo fa in modo fittizio.
Tutti e tre i segmenti fanno troppo affidamento sui giochi di luce stile tecno e sull’uso onnipresente della macchina per fumo. La colonna sonora non riesce a perseguire la fusione tra antico ed elettronico, che rimangono solo giustapposti. La connessione tra le tre parti è solo dichiarata e braccia alzate nella denuncia, e gruppi che corrono non sarebbero normalmente sufficienti a sostenere l'interesse di un'intera serata, ma il pubblico presente ha comunque premiato in modo entusiastico  questo lavoro auto-indulgente e ripetitivo.
Shechter è uno dei coreografi più interessanti del pianeta, ma in questa occasione le emozioni scarseggiano. Se si pensa che Shechter è un coreografo con una spiccata predilezione per il dissenso e il sovvertire le strutture, questo  è uno spettacolo frustrante.

Visto il 28-09-2016
al Ariosto di Reggio Emilia (RE)