Che cos’è un campione di scacchi?
Un grande scacchista è concentrazione estrema. E’ coerenza. Focus. E’ uno che mentre sta seduto, corre allo stremo delle forze. Altro ancora.
Questo è Bobby Fischer, il nuovo spettacolo di Laminarie presentato all’interno della rassegna Monopolio – quattro vite di un’altra fibra.
La scelta drammaturgica è semplice e centrale: il racconto di un’esistenza esemplare accoglie la riflessione registica e nello stesso tempo mantiene il campo aperto per l’immaginazione dello spettatore. E’ interessante notare come una scelta del genere sia, negli ultimi anni, sempre più spesso condivisa dal teatro Italiano. Come se ci fosse troppo da dire, per cui è utile affidarsi alla monografia, all’immediata complessità di una esistenza.
Il modo di sfruttare questa possibilità drammaturgica ne fa una scelta davvero feconda.
Come nella migliore tradizione, si lavora non solo sui fatti, ma sull’essenziale-invisibile della vita dello scacchista. L’essenza del personaggio si esplicita in immagini e azioni teatrali, informa di sé la scena, si traduce, insieme al contesto storico, in statuto dell’immagine. Il pubblico sente “chi è” Fischer prima ancora di sapere cosa ha fatto.
A quel punto, il lavoro informativo sulla vicenda di Bob può svilupparsi per frammenti: la gara, la scoperta della scacchiera da bambino, il rifiuto dell’America in vecchiaia, l’arrivo a Reykjavík e il grande successo possono essere posti sullo stesso piano rispetto a metafore, parallelismi, immagini astratte senza che si generi confusione nello spettatore.
Un elemento preziosissimo della messa in scena è la fiducia in uno degli principi base della recitazione: il lavoro dell’attore che sta. Per esempio quando, in una delle sequenze iniziali, Bob giovane e Bob anziano si trovano uno accanto all’altro, in piedi, di fronte al pubblico, e non fanno nulla oltre che stare, e nel loro stare semplicemente si voltano leggermente di tre quarti senza raggiungere del tutto il tre/quarti televisivo, questa semplicissima azione genera il senso in modo forte, chiaro e non raccontato, non invasivo rispetto all’immaginazione del pubblico.
Particolarmente efficace la metafora della corsa: non solo perché aiuta il lavoro dell’attore, che da questo lavoro fisico trae uno stato emotivo che con eleganza tiene e presenta al pubblico, ma anche perché il rimando all’interiorità di Fischer è immediato, sintetico, e possiede quell’originalità che non è artificio di immaginazione.
Si intuisce, nella messa in scena, una componente cinematografica. Proviamo a rintracciare da cosa può essere generata. La coerenza dei colori assimila l’immagine scenica alla fotografia di un film: è un tono su tono raffinato, che spesso definisce la fotografia del cinema americano classico. E certamente anche l’ambientazione statunitense ricostruita con i costumi collabora a produrre questo, nella percezione dello spettatore. Il ritmo del “montaggio alternato” degli episodi non cronologicamente ordinati. Alcuni elementi del parlato, specialmente in Bobby anziano ed in Bobby bambino, richiamano il parlato cinematografico. Non così per il protagonista, che pur mantenendo un parlato organico e mai retorico, porta con sé anche una forza archetipica che va al di là della colloquialità.