Una commedia brillante con parsimonia di battute divertenti; un dramma interiore con accenti drammatici centellinati; un romanzo surreale con i piedi ancorati a terra. Questo è “Cancun”, dello scrittore vivente catalano Jordi Galceràn. Un pizzico di Pirandello, il cui concetto del “così è se vi pare” è riecheggiato con garbo, senza la presunzione di eguagliarne lo spessore; una dose generosa del capolavoro cinematografico del 1946 di Frank Capra “It’s a wonderful life”, la cui mirabile leggerezza è traslata in moderna schiettezza di costumi; una manciata di “Sliding Doors”, pellicola di Peter Howitt del 1988, il cui sdoppiamento in vite parallele è svolto in bilico tra il faceto e lo straniante.
Il plot narra di due coppie che, dopo una ubriacatura di champagne, si svegliano con i partner scambiati, trovandosi a vivere una realtà fittizia; per loro veritiera al punto da giudicare alienata colei che, sola, ha sentore dell’incredibile accaduto. Come sarebbe stata la vita se Francesca, anziché avere sposato Giovanni, si fosse unita a Paolo? Come sarebbero cresciuti i figli, se fossero stati generati non dal suo grembo ma da quello di Laura? Nella pièce le aspettative, i dubbi, il sovvertimento dei ruoli non vengono mostrati concretamente, essendo circoscritti allo stadio di teorie, ipotesi, elucubrazioni verbali. Nulla realmente accade, nel bungalow della località turistica. Conseguentemente, la regia di Marco Mattolini è votata a conferire ritmo ai dialoghi che, come fiumi confluenti in un delta, si adagiano nelle anse del proprio corso, prolisso e prevedibile pure nel finale a sorpresa. La corrente fa mulinello attorno alla psicologia dei personaggi, a pulsioni e paure capaci di renderli egualmente prigionieri; ruota attorno al bisogno innato di conoscere la verità, salvo poi arrendersi all’evidenza che esistano verità diverse, racchiuse nell’io di ciascuno. Ma l’amore, vittorioso, possiede una tale forza magnetica da attrarre i cuori gemelli, in ogni circostanza.
Tutto è demandato alla percettività del cast. I due mariti Giancarlo Ratti e Blas Roca Rey, rispettivamente Giovanni e Paolo, rendono con brio e sensibilità i passaggi di registro, dal comico all’introspettivo, nell’esternazione del sentimento amoroso. Nicoletta Dalla Corte punta sull’indole di Laura, la cui vulnerabilità è nascosta sotto una corazza di veemenza. Straordinaria Mariangela D’Abbraccio nelle candide vesti di Francesca, capace di comunicare un’amplissima gamma emozionale, sia esteriore che interiore, giostrata sulla sapiente convivenza di contrasti: allegria e tristezza, rabbia e spavento, incredulità e rassegnazione. La morale è lampante. I desideri è meglio rimangano tali, perché il segreto della vita è apprezzare ciò che si ha, riconoscendone il valore intrinseco.
A conclusione dello spettacolo, inscenato nella tensostruttura che, dopo il terremoto del 2012, accoglie la Stagione teatrale di Pegognaga, l’attore Giancarlo Ratti si è così rivolto al pubblico numeroso e plaudente: “Se il Teatro è ferito, voi siete la cura migliore”.