CAROLINERIE FERDINANDEE

Problemi di coppia alla corte di Napoli

Problemi di coppia alla corte di Napoli

Nel diario personale di Ferdinando IV di Borbone, accanto a futili notizie sul clima, lo stato di salute e l’esito delle battute di caccia, compaiono pittoresche annotazioni relative all’umore della consorte Maria Carolina d’Asburgo. Se talvolta la regina gli usava «mille finezze» e gli concedeva le sue grazie (nel diario i rapporti intimi sono registrati per mezzo di un asterisco), più spesso gli rivolgeva parole «improprie», o «aspre e disobbliganti», o addirittura «infami e tali che ci è voluto tutto l’aiuto di Dio per farmele soffrire in silenzio». Le frequenti sfuriate della figlia di Maria Teresa non erano soltanto la manifestazione del suo pessimo carattere, ma anche – e forse più – l’indice di una sostanziale e irriducibile incompatibilità: Ferdinando e Carolina, che regnarono sul trono di Napoli per lunghi decenni tra Sette e Ottocento, provenivano da mondi molto diversi, che forse non entrarono mai davvero in contatto e procedettero lungo orbite irrequiete, segnate da lunghe derive e periodiche collisioni.

Su questo rapporto conflittuale, che segnò la storia meridionale negli anni cruciali del riformismo, della Repubblica e della Restaurazione, Giovanni D’Angelo ha costruito Carolinerie ferdinandee, «opera semiseria per cantante-attore, coreuti e orchestra da camera» allestita nello straordinario microanfiteatro ipogeo del Teatro Instabile di Napoli. La pièce è tutta incentrata sull’esuberanza di Salvatore Esposito, esperto interprete della drammaturgia partenopea, che veste volta a volta i panni di Ferdinando, di Carolina, di Pulcinella e di un evirato cantore. Le sue apparizioni sono incorniciate dagli interventi dei tre ‘coreuti’ (i bravi Simonetta D’Angelo, Tommaso Fichele e Alessia Mete), che cantano e danzano con affiatata perizia accompagnati da quattro strumentisti (chitarra, fiati, violoncello, percussioni). Nonostante qualche buona idea scenica, lo spettacolo risulta piuttosto slegato, privo di una cifra caratterizzante, sospeso tra un approccio didascalico e un desimonismo epigonale. I luoghi comuni della ‘napoletanità’ e uno scontato armamentario di lazzi, allusioni e ammicchi non bastano a compensare la debolezza del costrutto, che poco si sofferma sulla regal coppia e molto divaga tra schematiche rievocazioni storiche e parentesi di istrionismo gratuito. I brani musicali – dovuti allo stesso D’Angelo, che firma anche la regia – si rivelano efficaci soprattutto nel ritmo incalzante dei segmenti imitativi, ma ricadono talvolta in una certa ripetitività. Nell’insieme Carolinerie ferdinandee scorre, ma non intriga.
 

Visto il 23-10-2010