Una Cenerentola da fiaba

Una Cenerentola da fiaba

Ad inaugurare la stagione lirica 2017 del Ponchielli di Cremona lo spettacolo Cenerentola un titolo rossiniano fra i più frequentati, che ha attirato un pubblico eterogeneo, in buona parte formato anche da giovani, attento e partecipe.

L’allestimento

Peccato che la regia, curata da Arturo Cirillo, non riesca a imprimere vivacità ad un’opera che di carica ne avrebbe già di per sé a sufficienza. I movimenti dei protagonisti risultano per lo più stereotipati, sovrabbondano le ormai consuete mossettine a ritmo di musica che pare siano divenute un corredo obbligatorio per qualunque allestimento rossiniano; dominano la scena quattro onnipresenti mimi che, sebbene in alcuni casi risultino funzionali al sistema creando brevi sprazzi di ilarità, sovente finiscono per risultare un poco invasivi e distraenti.

Adeguate nella loro semplicità le scene pensate da Dario Gessati: uno spazio domestico delimitato da tre spoglie pareti di colore scuro all’interno delle quali si aprono tre porte, una di fondo più grande e due laterali; la casa di Don Magnifico si trasforma però ben presto nel palazzo del Principe grazie a tre teleri, calati dall’alto e decorati con motivi a fiori e uccelli.
Il coro canta affacciandosi a piccole finestrelle rotonde posizionate nella parte alta delle pareti. Vistosamente e volutamente ridondanti, ma in perfetta sintonia con la regia che intende puntare sul fiabesco e sul grottesco, i costumi di Vanessa Sannino, che brillano in particolare per le elaborate architetture dei copricapi indossati dalle due sorelle.

L’aspetto musicale

Gesto preciso, ma direzione un poco priva di brio per Yi-Chen Lin che dall’Orchestra dei Pomeriggi Musicali ha saputo trarre un suono complessivamente nitido e pulito, ma non sempre ricco di quell’effervescenza che caratterizza lo spartito rossiniano.
Nel cast spicca fra tutti, nel ruolo eponimo, Cecilia Molinari che, nonostante l’esilità di fondo dello strumento, ha saputo tratteggiare una Cenerentola a tutto tondo, caratterizzata da un bel timbro brunito, da una intonazione sicura e da una certa spigliatezza nel canto di agilità.

Grande solidità in acuto per il Don Ramiro di Ruzil Gatin, preciso nel fraseggio e apprezzabile nelle mezze voci; un Don Magnifico totalmente credibile quello di Vincenzo Taormina che si distingue per capacità interpretative e per corposità di suono.
Al loro fianco il disinvolto Dandini di Clemente Antonio Daliotti e il grave Alidoro di Alessandro Spina. Tecnicamente all’altezza la Clorinda di Eleonora Bellocci, meno a fuoco la Tisbe di Elena Serra.