Chi ha paura di Virginia Woolf nella versione di Antonio Latella, con protagonisti Sonia Bergamasco e Vinicio Marchioni inizia subito in modo brutale, come la carta a vetro sulla pelle: un accordo di pianoforte suonato con una mano sola, sgraziato, ripetuto, tanto ossessivo da diventare privo di significato.
A suonare è una donna, incerta sulle gambe, ubriaca: Sonia Bergamasco. Note che potrebbero essere gradevoli e invece si trasformano in una lametta sul vetro.
Le note sono annuncio e chiave di lettura per quello che arriverà dopo: due ore e 40 di sofferenza umana concentrata e soffocante. Ma non una di quelle sofferenze ineluttabili, connaturate con la vita. Questa è una sofferenza voluta per motivi incomprensibili, ricercata: un compiacimento autodistruttivo che mira a distruggere anche tutto quello che c’è attorno.
Martha (Sonia Bergamasco) e George (Vinicio Marchioni) sono una coppia americana. Lui insegna nell’università locale, lei è la figlia del rettore. L’ombra del Complesso di Elettra che Martha ha nei confronti del padre è incombente. La figura del rettore, sovrastante come un dio lontano, amplifica il fallimento vero o presunto di George.
Alle 2 di notte inizia il gioco al massacro
Alle 2 di notte, dopo un party tra docenti in casa del rettore, Martha e George invitano a casa Nick, un giovane collega di George, e sua moglie Honey. L’incubo inizia subito. Martha e George cominciano a vomitarsi addosso di tutto, le accuse di una vita, con una violenza verbale e intellettuale che scarnifica e sembra non avere fine. Le parole tagliano più dei coltelli: una demolizione psicologica e morale dell’avversario-coniuge, anche se nelle forme di un comportamento educato.
Gli altri due sono il teatro che permette a George e Martha di torturarsi a vicenda, il pubblico che con la sua presenza testimoniale trasforma in realtà il castello di accuse, risentimenti, odio, rabbia costruito dagli altri due. La voluttà della distruzione per essere completa deve essere però generale: e così ben presto nel massacro vengono invischiati anche Nick e Honey. Che oscillano: a un estremo del pendolo sono anche peggio dei loro ospiti; dall’altro estremo sono invece migliori e sani di mente nella loro banale normalità.
Cosa c’entra la scrittrice britannica Virginia Woolf, precorritrice delle lotte per la parità dei sessi, non è chiaro. George e Martha usano il suo nome per parafrasare la canzoncina Chi ha paura del grande lupo cattivo? (Who's Afraid of the Big Bad Wolf?) sostituendo il suo nome alle parole.
Forse l’autore Edward Albee allude al ruolo della donna, che nel 1962 è ancora ai margini della società? Quindi una donna omologata in pubblico ma fuori dagli schemi nel privato può fare paura? Martha di certo non è il tipo di mogliettina svanita e remissiva che era lo stereotipo della donna americana in quegli anni: cosa che è invece la sua ospite Honey. La parola inglese significa miele, e non è stata scelta a caso.
Le parole costruiscono un mondo di rabbia e alcol
Le parole costruiscono questo mondo di odio sordo e sofferenza, inzuppato di superalcolici, e a volte sembra che Nick e Honey in realtà non esistano, e che siano solo proiezioni costruite a parole. Due alter-ego di George e Martha.
La recitazione è perfetta. Chi è abituato a vedere Sonia Bergamasco in certe parti televisive (come Livia, la fidanzata-pesce lesso di Montalbano) sarà scioccato vedendola interpretare in modo chirurgico quel fascio di nervi, nevrosi, ansia, odio, risentimento, alcool e cinismo che è Martha.
Vinicio Marchioni si muove a scatti, con gesti caricati e caricaturali: come quel suo accavallare le gambe in un gesto rimarcato, di una normalità ostentata. Tutto indica che il confine tra normalità e pazzia è labile e pericolosamente vicino. Ottima la recitazione di Ludovico Fededegni e Paola Giannini, che con la loro 'normalità' mettono in luce la follia degli altri due.
Alla fine c’è anche il dubbio che in realtà Nick e Honey siano stati chiamati apposta per permettere a Martha e George di mettere in scena il loro amore malato, dove l’incontro-scontro sessuale viene risolto esclusivamente sul piano cerebrale. Questo, in pratica, sarebbe il modo di George e Martha di vivere il loro rapporto.
Nel 1962 in America una coppia con un tale livello di conflittualità avrebbe divorziato, ma George e Martha non sembrano avere alcuna intenzione di separarsi: e così il loro rapporto malato diventa specchio e metafora della società americana del dopoguerra e di tutte le sue storture.