Prosa
CIRANO

Arriva da Andria, dal “Teatro…

Arriva da Andria, dal “Teatro…
Arriva da Andria, dal “Teatro Minimo” di Michele Sinisi e Michele Santeramo una delle letture più accattivanti e sperimentali di Cyrano de Bergerac, l’immortale pièce di Edmond Rostand, qui spogliata del suo metro alessandrino, per far posto a una nuova metrica, quella composta dalla musica e da un racconto semplice, dalla curiosa sfumatura “franco-barese”. Già, perché togliendo all’eroe rostandiano tutto il suo lirismo, i grandi duelli di versi e spada, il grandioso scenario di visconti, preziosi e assedi militari, cosa rimane se non un uomo solo, Michele Santeramo, che insieme al formidabile contrabbasso “truccato” di Giorgio Vendola, propone un racconto del tutto personale, in cui Cirano inizia la propria storia, che continua in quella di Cristiano, che trova il suo coronamento in quella di Rossana, e così via fino a moltiplicare le voci, i punti di vista, un cuore che si divide in tre, mentre intorno la musica, il commento sonoro cresce e si moltiplica e si ripete in mille note diverse, riprese in mille modi, all’infinito fino a un improvviso silenzio, dove una voce sottile, quella della coscienza, simile a un ironico, sardonico grillo parlante, ricorda a Cirano che è solo un uomo, per di più brutto e destinato ad amare invano. Come è già stato detto più volte, nonostante l’impianto melò voluto dall’epoca di Rostand, Cirano è l’ultimo grande eroe tragico a doversi confrontare con la propria personale hybris e a sapere fin dall’inizio del suo amore per Rossana e della sua amicizia per Cristiano, che alla fine, comunque e sempre, sarà lui a rimetterci. È questa consapevolezza, questa molteplicità di voce, pensiero e musica, raccontata da un attore e da un musicista soli in palcoscenico, a conquistare il pubblico senza riserve e a tenerlo incollato sulla sedia. Santeramo è riuscito a svincolare il suo eroe dai canoni rostandiani, spogliarlo della sua aria melodrammatica da eroe di operetta, a rivestirlo di un’inquietudine che nella sua rozzezza e nella sua caparbietà è assolutamente moderna, quasi romantica nella sua illusione senza speranze, fino a farne di un protagonista a tre voci. Cirano, Cristiano e Rossana continueranno a parlare a turno, fino alla fine, attraverso il tono talora divertito talora accorato dell’intenso interprete e autore di questa magia. E alla fine parlerà l’amara voce della coscienza, quel grillo parlante, quel pennacchio bianco, simbolo di franchezza: “vale davvero la pena morire così tante volte?” Il resto è silenzio. Roma, 4 aprile 2009 Teatro Piccolo Eliseo
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