Lirica
COSI' FAN TUTTE

Mozart a Bassano, da un teatro all'altro

Mozart a Bassano, da un teatro all'altro

Arrivato  il primo sabato di agosto, inaspettato e  minaccioso ospite sul cielo di Bassano del Grappa, il maltempo ha costretto a trasferire velocemente dagli spalti del Castello degli Ezzelini - dove è ospitato il Teatro estivo Tito Gobbi- il materiale di scena del mozartiano Così fan tutte, e rimontarlo tale quale sul palcoscenico del Teatro Remondini. Moderna sala al coperto, e per fortuna subito disponibile: però più piccola, e dunque con minor spazio per i movimenti degli interpreti (e penso anche per l'orchestra, collocata dietro di loro); e purtroppo tale anche per il pubblico, forzatamente ridotto di numero. Per buona sorte, almeno la regia di Federico Bortolani pare non sembra abbia sofferto del trasloco, tenuto conto del lineare progetto di base che procede senza discostarsi da quanto sta scritto nei versi del Da Ponte; regia svelta nel ritmo e pervasa di sottile ironia, in grado di condurre il gioco delle parti senza forzare un libretto dal mirabile equilibrio di geometrie.
Un'unica recita d'opera in programma, questa, nell'ambito del vastissimo cartellone di Opera Estate Festival Veneto 2015, serata che però fa seguito ad un'altra data giusto una settimana prima, nel giardino di Palazzo Zuckermann a Padova: per entrambe è stato congegnato un cast anch'esso geometricamente compiuto ed affiatato, oltre che ben dosato nei suoi sei elementi. Il soprano russo Anna Kraynikova sbriga agevolmente le difficoltà di cui è cosparsa la parte della vezzosa Fiordiligi, con scioltezza scenica, singolare espressività vocale, spiccata personalità: tutto scorre a dovere nel suo canto, pure l'irto cimento di «Come scoglio immoto resta» e quello - solo apparentemente meno aspro - di «Per pietà, ben mio». Laura Polverelli si conferma una Dorabella centratissima: registro mediano pieno, corposo spessore ai gravi, timbro di velluto: nella sua interpretazione affiora tutta la natura passionale del sensuale personaggio. Il Ferrando di Paolo Fanale svetta per il timbro chiaro e sonoro, molto bello nel colore, e per l'accorta emissione che circoscrive la magia di «Un'aura amorosa» e il calore di «Ah! lo veggio» in spazi di forbita eleganza. Incisivo e vivacemente espressivo scenicamente il Guglielmo di Marco Bussi: sia l'elegante insinuarsi di «Non siate ritrosi», che l'ironico riflettere di «Donne mie, la fate a tanti» sono stati affrontati in maniera conveniente. Il basso Maurizio Muraro consegna un Don Alfonso di bella scuola italiana, vario ed articolato, dal timbro caldo e fraseggiato a dovere; un bel tipo sornione che ammicca a tempo e luogo, tirando le fila del gioco. Grande carattere, genuina vivacità, e ottima gestione dei mezzi tecnici abbiamo trovato nella Despina di Diletta Rizzo Marin, una soubrette gustosa nell'invitare le padrone a trovarsi nuovi amanti, celiando con loro tra i suggerimenti di «Han gli altri ancora...Di pasta simile» e l'arguzia di «Una donna a quindici anni».
Qualche obiezione muoverei alla scelta di collocare l'orchestra, seminascosta da un velario bianco, dietro i cantanti: scelta imposta dalla mancanza di una buca  - inconveniente già presente peraltro nella sede iniziale -  per cui il suono non giunge perfettamente integro, bensì un tantino ovattato; mentre le voci dei cantanti vengono proiettate in avanti, e si stagliano eccessivamente – specie stando in uno spazio chiuso come questo – al di sopra il tessuto orchestrale. Nondimeno, pur in queste condizioni non ideali, il giovane direttore Andrea Albertin ha dato dimostrazione di due cose: di saper tenere bene in mano le redini di un'orchestra – nel caso presente, l''Orchestra di Padova e del Veneto - e di possedere un'indole musicalissima anche se non s'avverte ancora, nella sua concertazione, una visione spiccatamente personale di questa mirabile (e quanto mai complessa) partitura mozartiana. Preciso l'apporto del coro Città di Padova diretto da Dino Zambello, confinato e celato ahimé anch'esso fuori scena, ai lati dell'orchestra.
La scenografia di Giulio Magnetto non considera per l'aula de La scuola degli amanti che poche attrezzerie, il che ha facilitato peraltro l'imprevisto trasloco: due letti a sinistra, un separé, una vasca da bagno, un tavolino e qualche sedia, quanto basta per dare l'idea di una casa borghese e ben ordinata affacciata sul Golfo di Napoli. Aggraziati i candidi costumi, di sapore vagamente settecentesco – specie quelli vaporosi delle due volubili sorelle – disegnati da Manuel Pedretti; con un'unica critica, rivolta anche alla regia: senza i mustacchi sotto il naso dei due finti cicisbei, il loro travestimento in scena non regge.

(foto G. Ghiraldini)

Visto il 01-08-2015
al Tito Gobbi di Bassano del Grappa (VI)