Un testo criptico fatto di allusioni, sottintesi, frasi spezzate, parole sparse qua e là che devono essere ricomposte come un puzzle dalla mente dello spettatore in una atmosfera ad alta tensione.
Si potrebbe sintetizzare così questa pièce scritta da Martin Crimp, drammaturgo inglese contemporaneo, per certi versi molto simile ad Harold Pinter .
Protagonisti sono un lui, una lei, un’altra lei; apparentemente, e in parte realmente, un triangolo amoroso. L’azione scenica avviene tramite confronti verbali a due. Nella prima scena Corinne e il marito medico Richard conversano nervosamente; l’antefatto è che Richard ha offerto soccorso a una donna trovata per strada, Rebecca, e l’ha portata a casa, destando i sospetti di Corinne circa una loro possibile relazione. Nella seconda scena c’è un confronto fra le due donne, nella terza fra Rebecca e Richard, in cui affiora un torbido passato di droga e sentimenti che li lega ancora.
Infine si ritrovano nuovamente i due coniugi, il dialogo fra i due non ha più protagonista la donna ma l’angoscia esistenziale, specialmente di Corinne, la quale rievoca alcuni frammenti del suo passato recente in cui qualcosa di inquietante e misterioso è accaduto e ancora, come un fantasma, la perseguita.
Il finestrone che fa da fondale, la disposizione scenica dei vari oggetti e l'immobilità generale che si avverte a cominciare dai tre protagonisti, richiamano fortemente le situazioni e le atmosfere sospese dei quadri del pittore americano Edward Hopper. Negli intermezzi fra una scena e l’altra, in assenza di luce, rumori sinistri e inquietanti, emergono dall’esterno del casolare, proprio da quella campagna che nell’immaginario comune simboleggia la vita semplice e naturale. Entrambe le donne, in momenti diversi dello spettacolo, rievocano dai loro ricordi la sensazione che la pietra sulla quale erano una volta sedute si insinuava progressivamente dentro di loro fino a divorarne il loro cuore, e dunque la loro interiorità. Una pietra che si fa emblema del nostro tempo in cui l’uomo si sta completamente alienando non solo dagli altri ma anche da se stesso, dalla sua intima natura, in cui l’incapacità di comunicare, di comprendere, di stabilire una connessione emotiva con i suoi simili lo rendono arido, sterile. Non a caso è presente in tutte e quattro le scene l’elemento dell’acqua, Corinne lamenta inizialmente che non ha un buon sapore, alla fine sorvola sulla cosa glissando…
La mancanza di brio e la piattezza del tono recitativo voluti dal regista Roberto Andò veicolano proprio l'inedia e l'anestesia sentimentale dei protagonisti, ma il ritmo serrato delle battute consente allo spettatore di rimanere desto e concentrato. Uno spettacolo nel complesso emozionante e avvincente, reso bene dal lavoro di scavo psicologico operato dal regista sugli attori, tutti e tre molto efficaci nell'effetto antinaturalistico e quasi surreale della loro interpretazione.