C'è qualcosa di sottile e magico, indicibile e sfuggente a ogni formale definizione, che guida lo spettatore a seguire dall'inizio alla fine le mirabolanti acrobazie di queste giovani rivelazioni del circo canadese, la compagnia di Montréal, Les sept doigts de la main.
Anzi, la magia comincia prima dell'inizio e si prolunga dopo la fine, perché lo spettatore è guidato e invitato dagli attori, prima del buio in sala e a sipario spalancato, a salire sul palco esplorando la prodigiosa (vera) cucina della scenografia, a gustare con loro un caffé, sentire la fragranza delle verdure che cuociono in forno, cimentarsi con esperienze come la rottura di un uovo con una mano sola o il racconto delle proprie preferenze culinarie.
C'è un crescendo studiato e sapiente, che via via mostra i nostri "ospiti" nelle loro mirabolanti capacità acrobatiche, e conduce fin oltre l'atteso finale, con la degustazione condivisa di un piatto di pasta o di un dolce alla banana, veramente cucinato in diretta.
In mezzo, tutta la magia di questa nuova generazione circense, che, a partire dal Cirque du Soleil in poi, sa incantarci con il puro gusto della giocoleria, della suggestione coreografica, della bellezza e della semplicità delle immagini. Anzi, ancor più del Cirque du soleil, le Sette dita della mano hanno il merito di saper puntare su effetti di luce e sonori semplici, che ancor più ne valorizzano il talento scenico.
In più possono contare su un impianto narrativo "solido", in cui le storie dei protagonisti rispetto alla cucina hanno valore, consistenza e forza simbolica. Il tema, oggi più che frequentato e abusato, della cucina rischiava di essere fuorviante rispetto alla possibilità di cadere nel luogo comune, nel cibo da selfie, nella gastronomia globale da reality show.
Invece, la compagnia punta su un filone infallibile, ovvero quello dei cibi evocativi di ricordi, passato, origini e infanzia: ne nasce un mosaico di storie, ora buffe, ora tragiche, poi divertenti, che tiene insieme l'intero racconto come l'ingrediente più solido.
Così, mentre sul palco si susseguono numeri di funambolismo, tessuti aerei, giocoleria, danza, lo spettatore si appassiona alle vicende che "sfornano" l'omelette perfetta, la tortilla spagnola, l'enchilada argentina, il pane con le banane o la pastasciutta domenicale. Questo melting pot culinario non risente neppure delle diversità linguistiche, in quanto l'italiano maccheronico o le differenti lingue parlate sul palco creano un grammelot affascinante che dà ritmo allo spettacolo.
Difficile, tra tante interessanti personalità artistiche, definirne una che prevalga sulle altre: certo, restano nella suggestione dello spettatore le storie del padre desaparecido ricordato nel suo amore per la musica, l'allegria, il calcio, le cene con gli amici, così come il divertente monologo sulla fantomatica "tavola rotonda" in cucina a cui tutti possono sedersi, persino l' "ospite in più", la toccante intensità coreografica del passo a due, la femminilità irriverente, anticonvenzionale e ironica della finlandese Nella nel raccontare la "sua" ricetta d'elezione.
Ingredienti, briciole di una ricetta, un'alchimia difficile da definire fuori dal palco, se non nel ricordo di uno spettacolo autenticamente emozionante, capace di affidarsi al rischio dell'arte "semplice", fatta di cibo, parole, racconti, talenti segreti, acrobazie, ingredienti di cui è fatto non solo il circo, ma anche, molto più di quanto siamo disposti ad ammettere, la nostra vita di tutti i giorni.