Ultima produzione di Emilia Romagna Teatro Fondazione, lo spettacolo in scena in questi giorni all’Arena del Sole dopo il debutto modenese sta facendo molto parlare di sé. ERT affida per l’occasione la regia ad un giovane russo: il quarantenne Konstantin Bogomolov, i cui spettacoli vengono rappresentati nei più importanti festival e teatri europei. La caratteristica principale che distingue i suoi lavori, da noi italiani poco conosciuti, è l’originale lettura di opere classiche figlia di uno stile dissacrante e provocatorio. In questo caso il punto di partenza è Delitto e castigo, omonimo romanzo di Fedor Dostoevskij. Ambientato a Pietroburgo in un’afosa estate, il romanzo narra la vicenda di un duplice omicidio commesso per la brama di denaro del protagonista e di come per l’espiazione di questa pena sia necessario percorrere la lunga via della sofferenza. Di stampo apertamente cattolico, il romanzo si pone così in rapporto moralistico con il lettore, ed esprime le idee religiose ed esistenzialiste dello scrittore.
Un adattamento scenico audace
Nulla di tutto ciò si evince nella messinscena di Bogomolov. Il romanzo viene ricontestualizzato in epoca contemporanea, probabilmente perché riprendere questioni del diciannovesimo secolo non era il caso, viste le vicende sociali e storiche che ci hanno allontanato da esse. Seguendo questo filo i personaggi vengono stravolti, alcuni in senso positivo e altri meno, relegati in un angolo che va a costituire uno dei punti oscuri del montaggio scenico. Il protagonista Raskol’nikov diventa così un giovane nero, immigrato e indigente, che coglie l’opportunità di fare soldi facili uccidendo un’anziana nobildonna per dare una svolta alla sua vita e a quella della sorella Dunya e della madre, anche loro straniere e avide di “consumismo”, come si evince dalla scena in cui irrompono in platea al ritmo di un vecchio tormentone estivo, sbandierando buste di un noto brand di abbigliamento. Personaggio enigmatico poi lo “scaltro” Porfiriy, che indaga sul protagonista seguendo il suo sesto senso, qui reso con intelligente comicità un uomo tragicamente solo.
È chiara l’idea del regista secondo il quale al giorno d’oggi non fa più scandalo un uomo che uccide per soldi, e il suo Raskol’nikov infatti commette il cruento atto senza pensarci più di tanto e nemmeno dopo, nell’interessante relazione che costruirà con Sonya Marmeladova, avrà modo di riflettere e pentirsi, anzi andrà a costituirsi solo perché lo convincerà lei, prostituta per necessità ma con un forte attaccamento religioso. La recitazione dei personaggi risulta quasi straniata: anche nei momenti di forte impatto emotivo, gli attori recitano in maniera distaccata, fredda, quasi meccanica e questo forse non giova all’andamento drammaturgico, che procede per gradi ma che non trova nel finale una giusta collocazione degli intenti registici. Fanno eccezione due attori, valorizzati dalla bravura ma soprattutto dalla caratterizzazione dei loro personaggi: Enzo Vetrano, che interpreta un Marmeladov spontaneo e diretto nel dipingere una situazione familiare che rasenta la tragedia e Marco Cacciola, dapprima efficace rumorista durante le scene tragicomiche e poi interprete di Nikolka, povero idiota del dramma.