Il secondo titolo operistico del 37° Festival della Valle d’Itria è un dittico di due brevi opere, rappresentate per la prima volta in Italia, di due compositori tedeschi della prima metà del XX secolo, qua a Martina Franca in una coproduzione con il Theater di Lübeck.
Der Ring des Polykrates (L’anello di Policrate) è un’opera comica in un atto di Erich Wolgang Korngold (1897 – 1957), su libretto di Leo Feld e Julius L. Korngold. L’autore era poco più che quindicenne quando scrisse la musica di questa breve opera, un vero enfant prodige, novello Mozart (con un padre che decideva come dovesse scrivere la musica), era una mente brillante e scelse come argomento della sua prima opera una commedia del 1888 di H. Tewels, a sua volta ispirata a Schiller. La prima esecuzione avvenne a Monaco di Baviera, all’Hoftheater, il 28 marzo 1916. L’operina, godibilissima e pregevole nella sua fattura musicale, piacque molto al pubblico e alla critica (senz’altro incuriositi dalla giovane età del ragazzo prodigio). La carriera teatrale di Korngold, così ben avviata, fu presto stroncata dall’avvento del Nazismo: a causa delle sue origini ebraiche, dovette fuggire dalla Germania e trovare asilo negli Stati Uniti, dove iniziò una proficua carriera nell’industria cinematografica americana come autore di colonne sonore della Warner Brothers; la sua musica colta e classicheggiante però, ha sempre trovato scogli nella critica a lui contemporanea e solo di recente le sue composizioni hanno cominciato ad essere riscoperte e apprezzate, riproponendole in esecuzioni concertistiche.
La struttura drammatica di Der Ring des Polykrates, rispetta scrupolosamente le unità di tempo, luogo e azione: la vicenda si svolge nell’arco di un solo pomeriggio, in una non meglio precisata località della Sassonia, sempre nella stessa stanza e ruota intorno a un unico spunto narrativo: due coppie e un terzo incomodo amico, uno fortunatissimo e l’altro sfortunato che metterà di tutto per seminare zizzania in casa del primo. Il tutto si svolge nella migliore tradizione del teatro comico, fino alla conclusione in cui l’amico incomodo viene allontanato e torna la pace domestica. L’opera risulta composta da una musica spensierata e disimpegnata, ben fatta, costruita su fondamenta tecniche e formali solidissime, semplice da comprendere e piacevole da ascoltare. Korngold dimostra, pur nei suoi sedici anni, una notevole padronanza del mezzo orchestrale, mescolando con disinvoltura sonorità antiche e moderne, classiche e leggere.
Ottima la regia di Franco Ripa di Meana che, attraverso le scene di Tiziano Santi, ha reso la situazione psicologica ed emotiva dei personaggi in modo efficace. Quasi una regia cinematografica, per sottolineare il legame che unisce Korngold al grande cinema. Benché l’opera sia ambientata in un’unica stanza, il regista divide questa in due parti; la prima è una camera a specchio, in cui i personaggi riflettono i propri difetti in esso, ma non li vedono, perché lo specchio riflette anche solo quello che noi vogliamo vedere; la seconda parte della camera è nera, sollevata, perché bisogna elevarsi per risolvere i problemi e nel buio, nell’oscurità si capiscono i propri limiti. Regia perciò funzionale e di buon effetto visivo, come anche i costumi di Marco Idini.
Buono il cast: Ladislav Elgr in Wilhelm Arndt, buona voce ma si è rivelato un po’ incerto; bravi Ausrine Stundyte in Laura, Daniel Szeili in Florian Döblinger, Anne Ellersiek in Lieschen e Antonio Yang in Peter Vogel.
Das Geheime Königreich (Il regno segreto) è una fiaba lirica in un atto e due quadri di Ernst Krenek (1900 – 1991) su libretto proprio e fa parte di una trilogia di atti unici composta nella metà degli anni venti del novecento. La carriera teatrale di Krenek, inaugurata con successo nel 1927 con Jonny spielt auf e consacrata con la successiva trilogia, venne dopo poco stroncata dall’avvento del Nazismo (cosa che lo accomuna a Korngold), che indicò nell’ebreo Krenek e nei suoi personaggi il simbolo di una musica degenerata e da proibire in Germania. Dall’esilio americano continuò una feconda e longeva produzione, tanto che la sua opera omnia si compone di oltre 242 composizioni e ben 22 opere liriche. Fu un rappresentante della musica nuova, di quel genere musicale che prese piede dopo la prima guerra mondiale fino a sfociare nella dodecafonia, alla quale Krenek si approcciò già dal 1930; il compositore poi, negli anni 50 si avvicinò alle avanguardie musicali componendo musica elettronica e sperimentale. Si può proprio dire che nella sua lunga vita e carriera musicale abbia affrontato tutti i generi della musica classica a lui contemporanea, sempre con la voglia di scoprire nuovi mondi e nuovi orizzonti musicali.
Das Geheime Königreich venne rappresentata per la prima volta allo Staatstheater di Wiesbaden il 6 maggio 1928, insieme agli altri due atti unici che compongono la sua trilogia: l’opera tragica Der Diktator (inserito anch’esso nel Festival della Valle d’Itria e rappresentato al teatro Grassi di Cisternino) e l’opera buffa Schergewicht oder Die Ehre der Nation. Il trittico venne accolto molto favorevolmente dal pubblico e dalla critica, tanto che furono riproposte l’anno successivo alla Staatsoper di Berlino. Il soggetto è d’ispirazione fiabesca con un finale moraleggiante, liberamente attinto da Shakespeare e Goethe, affronta un tema scottante in chiave ironica: il rapporto tra potere e individualità ovvero tra la responsabilità pubblica e le esigenze dell’interiorità dell’uomo politico. Un Re demoralizzato, lascia la corona al saggio Giullare e fugge; la Regina tenta di impossessarsi della corona grazie ad astuzie e la dona al Capo dei rivoltosi. Ritorna il Re che indossa i panni del giullare e fugge, in un momento di sconforto, mentre tenta di uccidersi, il Re riscopre magicamente, in un bosco, il valore delle piccole cose e intuisce quale sia l’enigma che il Giullare all’inizio gli aveva posto, quale sia la vera saggezza: l’occhio animale, cioè lo sguardo di un essere semplice è quello che possiede il mondo intero. L’opera si presenta di non sempre facile ascolto, estranea al gusto classico e melodico e molto più vicina all’opera contemporanea e dodecafonica.
Anche qua la regia è stata affidata a Franco Ripa di Meana e le scene a Tiziano Santi; entrambi hanno svolto un ottimo lavoro, creando un grande simbolismo scenico: la prima parte si è creato un mondo reale, fatto di oggetti reali per gente che è irreale, il fatto stesso che nell’opera nessuno abbia un nome proprio, ma solo l’appellativo, ne fa gente non concretizzabile e così nella seconda parte, la scena diventa irreale, in cui le persone vogliono affrontare la propria realtà mortale, anonima. Ben riuscita l’introspezione dei vari personaggi nella loro caratterizzazione psicologica.
Discreto il cast con voci in sincronia con lo stile dell’opera: Antonio Yang in Der König, Zuzana Markovà in Die Königin, Martin Winkler in Der Narr, Danilo Formaggia in Der Ribell, Anne Ellersiek in Erste Dame, Mirella Leone in Zweite Dame, Romina Boscolo in Dritte Dame, Daniel Szeili in Erster Revolutionär e Mattia Olivieri in Zweiter Revolutiönar.
Ottima la direzione del maestro Roman Brogli – Sacher, alla guida dell’Orchestra Internazionale d’Italia, in due opere di non facile esecuzione.
Consensi diffusi e applausi calorosi per il poco pubblico presente, causa senza dubbio, la serata molto fredda.