Vi sono compositori che amano le grandi forme, e cimentarsi anche in quelle più magniloquenti, ed altri che prediligono quelle più contenute. Raggiungendo, nondimeno, gli stessi risultati espressivi.
Possono convivere in musica, insomma, l'Händel dei maestosi oratori inglesi, ed il Purcell di quel miracolo di sintesi drammaturgica costituito dai tre atti di Dido and Aeneas, un'oretta di musica in tutto: avendo buona parte del merito l'essenziale libretto di Nahum Tate tratto da Virgilio, ed altra parte la perdita – ahimé - del Prologo, dell'Epilogo e di qualche altra pagina sparsa. Tre atti rapidissimi ma densi ed intensi, scelti da un collegio di giovani dame inglesi sito a Chelsea – siamo nella prima metà del 1689 - per celebrare la salita al trono di Guglielmo III d'Orange; tre atti che ra l'altro contengono al loro interno una delle più belle e più struggenti arie di morte mai composte in ogni tempo, «Thy hand, Belinda, darkness shades me».
Al Cantiere d'Arte di Montepulciano, il capolavoro di Henry Purcell è andato in scena già due volte, nel 1980 e nel 2002. Mai però nello straordinario spazio rinascimentale del Tempio di San Biagio: luogo vasto e solenne, carico di suggestioni, utilizzato dal regista Michael Kerstan - già fedele assistente di Hans Werner Henze, il fondatore del Cantiere – per assemblare un racconto lineare e raccolto, ma non per questo meno foriero di emozioni. Uno spettacolo avvincente, lucido ed essenziale così come alchemicamente equilibrate e dosate devono essere le emozioni offerte da Dido and Aeneas e dai suoi esecutori. A Kerstan si devono anche un qualche accenno di scenografia – lo spazio non ammette altro - ed i costumi, ognuno di gradevole semplicità: Didone e le sue ancelle in candide vesti, Enea elegante nel suo abito scuro, i suoi compagni in jeans e magliette a righe - sono dei marinai, dopo tutto - mentre la Strega e le due scarmigliate fattucchiere si vestono del nero della Notte. I personaggi agiscono sotto la grande cupola di San Biagio con gesti misurati, quasi tutti a piedi nudi, usando pochi oggetti – le navi dei troiani rappresentate da dieci grandi barche di carta trascinate da una corda – e sono giusto quelli che danno senso alle loro parole. Quanto alle luci di Renato Vadalà, volutamente violente ed aggressive, pare vadano volutamente a cercare i massimi contrasti, sottolineando con forza ogni svolta del dramma.
A sovraintendere musicalmente l'operazione è il Modus Ensamble di Roma guidato con mano ferma e mente lucida, senza ipertrofie sonore e senza pompe fastose, da Mauro Marchetti: concertatore sobrio, misurato, capace comunque sempre di raggiungere sempre il nocciolo del dramma. I suoi strumentisti, presenti nel numero previsto all'epoca – una dozzina o poco più, compreso il basso continuo – mostrano di sapersi muovere in un repertorio che va affrontato con criteri filologici, certo, ma anche con il cuore. Unica menda, un suono complessivo che a tratti appare un po' troppo asciutto, causa certo dell'acustica non ideale del monumentale edificio del Sangallo. E non bisogma porre in secondo piano i valentissimi giovani componenti del coro misto del Modus Ensamble, che hanno condotto il loro compito con convinzione, bella grazia ed ammirevole precisione.
Giovani anche i solisti; e nonostante la verde età, il soprano Sabrina Cortese si palesa una Didone d'apprezzabile livello, per la vocalità chiara e piana, e per i delicati toni espressivi; un po' diversa da altre regine cartaginesi che c'è capitato sentire, ma ad ogni modo centrata nelle tensioni emotive e nel nitido chiaroscuro del fraseggio. Un po' meno presente però in lei, quel necessario continuo progredire drammatico, che sale in rapido crescendo dalle prime battute sino alla disperazione del desolato trapasso. Il tenore Antonio Orsini offre un Enea teso e virile, ben articolato nell'accento e ben descritto nella sua ambivalente natura; di buon spirito, ma un tantino filiforme la Belinda di Giulia Manzini; il controtenore Stefano Guadagnini ha ben ricoperto il caricato ruolo della Strega senza mai cadere nel più becero grottesco. Adeguata pertinenza stilistica e buona espressività anche negli altri: Ronja Wehenmeyer (la dama) Lucia Filaci e Caterina Meldolesi (le fattucchiere), Miriam Trevisan (lo Spirito), Marta Guassardo (il marinaio).
(foto di Irene Trancossi)