Non amo molto che un'opera vada soggetta a tagli, e spiace ricordare come un direttore pur straordinario ed intelligente quale Gianandrea Gavazzeni si fosse guadagnato - per la disinvoltura con la quale accorciava certe pagine – l'ironico epiteto di “Tagliator cortese”. Ma se sono minimi, se sono ragionevoli, sopra tutto se servono solo ad alleggerire il procedere di un'opera senza sacrificarne nulla di fondamentale, li possiamo anche tollerare. Come succede in questo Die Entführung aus dem Serail, visto sempre qui al Comunale di Treviso già nel novembre 2010, ed ora ripreso per siglare la sua breve stagione lirica 2016/2017. Un Ratto dal serraglio nel quale è avvertibile qualche lieve sforbiciata nel terzo atto, e che alterna le musiche originali con dialoghi in italiano più rapidi degli originali. Cosa non a tutti gradita, ma uno singspiel è pur sempre di per sé una commedia con canzoni, nella sua accezione di base; e le battute in prosa – di immediata comprensione - rivestono pur sempre la loro importanza.
Realizzato dunque sette anni fa nel quadro di una felice collaborazione tra il Teatro Comunale di Treviso e la Philadelphia Opera Company, mettendo insieme la regia dell'americano Robert B. Driver - storico collaboratore della POC – con le scene ed i costumi realizzati dalla nostra Guia Buzzi, questo agile spettacolo ci trasporta in una pellicola dell'epoca del cinema muto, immergendo le turqueries del libretto nel Medio Oriente di giusto un secolo fa. Qui tra oasi, deserti e contrade esotiche, Kostanze ci viene presentata nei titoli di testa emula di Mata Hari ed in missione segreta alla corte di Selim, e Belmonte calato nei panni di un baldo aviatore che pilotando un biplano vola al suo soccorso, intraprendendo un lungo raid dalla Spagna a Istanbul. Lo sfondo della vicenda viene suggerito dalle immagini di tremolanti pellicole degli Anni Venti, proiettate sul telone che di tanto in tanto appare dietro la sobria scenografia; la quale è composta essenzialmente da alti ed eleganti pannelli traforati di gusto arabo che scorrono e dividono gli spazi, e da qualche acconcio oggetto d'arredo. Quanto al design degli abiti, la Buzzi pare ispirarsi agli avventurosi fumetti aventi per protagonista Corto Maltese. E quindi abbigliamento coloniale per i maschietti, belle mises "anni Venti" per le signore, Selim in divisa bianca e kepì, i suoi soldatini col fucile e tarbush in testa; ed un Oriente decisamente più fiabesco e colorato per Osmin e le belle odalische dell'harem. A conti fatti, si tratta d'uno spettacolo tuttora assai piacevole, che il pubblico vede fluire speditamente e si gode grazie anche a certe felici intuizioni registiche che esaltano l'inclinazione mozartiana al sorriso ed alla joie de vivre. Come l'inatteso bis delle battute orchestrali finali, allorché ci vengono mostrate sullo sfondo le foto dei protagonisti molti anni dopo: Belmonte e Kostanze attorniati da una nidiata di pargoli, Pedrillo e Bonde teneramente abbracciati, Selim ed Osmin entrambi beati fra le donne. Molto accurate e decisive per la riuscita generale appaiono poi le luci studiate da Roberto Gritti, così come i sapienti effetti computer graphics elaborati da Lorenzo Curone risultano determinanti per la riuscita dello spettacolo.
Sul podio, Francesco Omassini, in buca l'Orchestra Regionale Filarmonia Veneta, compagine che in mano ad un buon direttore sa tirare fuori il meglio di sé, come stavano a dimostrare la precisione e la leggerezza dimostrate dai suoi componenti, in ogni frangente: dalla brillante ouverture, resa con ricchezza di colori, ad una pagina lussureggiante di passaggi solistici qual'è «Martern aller Arten». Da parte sua il giovane maestro veneziano ha idee molto chiare, come ha dimostrato più volte: imposta sin da principio una visione stilisticamente centrata e variegata nelle tinte; e dispiega una lettura sempre lieve ed elegante – nonché, quando è il momento, luminosa e brillante - del capolavoro mozartiano. In più, piace annotare come sappia mettere in risalto quanto più possibile il lavoro dei cantanti, sostenendoli con tempi mai affrettati e dinamiche molto accorte e calibrate, e li sappia condurre con mano sicura e senza sbandamenti sino al turbinoso vaudeville conclusivo.
Cast ben composto ed affiatato, capitanato da due veterani delle scene: il nostro Bruno Praticò nel ruolo recitante di Selim, e il viennese Manfred Hemmed nei panni di Osmin. Basso non proprio profondo, quest'ultimo – sia lui, sia la Blonde di Daniela Cappiello mancano ahinoi le note più gravi del duetto «Ich gehe, doch rate ich dir» - ma nondimeno interprete vigoroso e sicuro nel mestiere, pronto in questo caso a spargere sapido humour nella sagoma del vigile giannizzero. Viennese doc è pure il giovane tenore Martin Piskorski, la cui voce pervasa di virile dolcezza possiede un bel timbro naturale e mostra una facile salita agli acuti; ed è sopra tutto esente da quegli inopportuni sbiancamenti che di frequente affliggono gli interpreti mozartiani, e che minano alla base l'espressività dei loro ruoli. Il che gli consente di superare abbastanza agevolmente gli scogli del melanconico e trasognato fraseggiare di «Hier soll ich dich denn sehen» e di «Wenn der Freude Tränen flessen», pagine con lui entrambe significative; un po' meno risolte, purtroppo, sono le ripide arcate melodiche e le colorature di «Ich baue ganz», in cui incespica un po'. Una buona Kostanze è nell'insieme quella di Jeanette Vecchione-Donatti, apprezzabile per forte personalità, timbro cristallino, colonna di fiato ampia ed incisiva. Però vale più o meno quanto detto poc'anzi: pienamente vincente in pagine teneramente patetiche quali «Ach ich liebte» e «Traurigkeit ward mir zum Lose» che riescono cesellate con molta finezza, questo giovane soprano americano non riesce ancora a padroneggiare del tutto i funambolismi vocali e le fantasmagoriche colorature di «Martern aller Arten», risoluta affermazione di carattere e di femminilità. La nostra Daniela Cappiello consegna una Blonde piena di spirito, aggraziata e spumeggiante; una ragazza adorabile ma volitiva nel carattere, svelta nel farsi ben rispettare con il pungente ammonimento di «Durch Zärtlichkeit und schmeicheln». Lodevole poi come il soprano sorrentino sappia comporre in scena una coppia ideale con l'esuberante Pedrillo del tenore catalano Marc Sala, interprete ordinato e di lodevoli qualità: squisitamente ironico nel tenere testa, pure lui, allo scorbutico Osmin, ed amabilmente scanzonato nella lunare serenata «In Mohrenlande» sostenuta dal bel pizzicato degli archi.
Ineccepibili - ed eleganti come piccoli cammei - gli inserti corali realizzati dal Coro del Conservatorio B. Marcello di Venezia, preparato con attenta cura da Francesco Erle.
(Foto Piccinni)