Lirica
DITTICO POULENC - JANACEK

A volte gli amori finiscono in tragedia

A volte gli amori finiscono in tragedia

Quando si decide di riunire titoli di breve durata per riempire una serata, si possono prendere svariate direzioni. Si possono accostare lavori più o meno simili, come due intermezzi comici, o due brevi melodrammi d'uno stesso compositore, oppure di autori diversi però tra loro coevi ed analoghi. Si può altrimenti giocare la carta d'un netto contrasto, mettendo una vicina all'altra due partiture lontane nel tempo e nello stile, od accostando magari un balletto ed un'opera in un atto. Vada come vada, lo spettatore non può esimersi dal indovinare, in un fine gioco intellettuale, le ragioni che stanno dietro alle scelte operate da chi ha approntato lo spettacolo che gli viene proposto. In questo caso, nel dittico che riunisce Zápisnìk zmizelého (Diario di uno scomparso) di Leos Janácek e La voix humaine (La voce umana) di Francis Poulenc, lavori non troppo lontani nel tempo (il primo è del 1919, il secondo del 1959), però assai differenti in stile e struttura, a collegarli è un sottile ma percettibile nesso: l'avere entrambi una fonte letteraria diretta - rispettivamente i versi di Ozef Kalda e la piéce teatrale di Jean Cocteau - e due spunti narrativi trattanti entrambi il tema dell'attrazione erotica e della solitudine.
In Diario di uno scomparso le ingenue riflessioni di Jan - finzione letteraria d'un diario ritrovato dai familiari – fanno conoscere un giovane contadino, semplice d'animo e laborioso, che s'innamora della zingara Zefka, e per lei abbandona paese e famiglia. Sono 22 le brevi liriche di Kalda che forniscono al musicista moravo lo spunto di elaborare un intenso ciclo liederistico per tenore, alto, piccolo coro e pianoforte; una partitura pensata come tipicamente da camera, ma che talora viene elevata a dimensione scenica.
In La voix humaine, la lunghissima e concitata telefonata d'una donna disperata che tenta di riannodare una passione ormai tramontata, sta al centro dell'atto unico che Poulenc costruisce sulla singolare prosa di Jean Cocteau. Un testo dai tratti originali e già densamente drammatico nell'originale destinazione teatrale, ma che una volta trattato dal compositore francese assunse ancor maggiore intensità – ben se ne avvide lo stesso Cocteau – grazie al drammatico ed efficacissimo alternarsi di musica, canto e recitazione, che esalta e contrappunta non solo l'atmosfera penosa ed opprimente in cui si dibatte l'anonima protagonista  - definita nel libretto con spietata spersonalizzazione semplicemente  «Lei» - ma anche le lunghe pause delle risposte dell'amante che l'ha abbandonata, e che noi noi possiamo solo intuire dalle sue concitate frasi.
Conferire comune aspetto visivo ad entrambi gli atti unici era impresa decisamente ardua ed impegnativa: Gianmaria Aliverta, coadiuvato da Massimo Cecchetto per le scene e Carlos Tieppo per i costumi, ha pensato uno spettacolo circolare ed unitario (un intenso dramma noir in due tempi, l'ha definito) che si apre dapprima su dei moderni interni borghesi – una camera da letto ed un salotto, entrambi algidamente candidi – dove vediamo una donna singhiozzante soccorsa e portata via da un dottore e un'amica. Un poliziotto prende a perquisire la casa – scopre anche un coltello insanguinato - e trova man mano dei fogli che legge per noi: sono le poesie del giovane Janicek (diminutivo di Jan, l'assonanza con il cognome del compositore che si sentiva anch'esso angustiato dal bigottismo del suo ambiente è chiaramente voluta). Di qui s'avvia la partitura di Zápisnìk zmizelého, aprendoci un racconto d'ambientazione agreste che culmina nell'abbandono dei luoghi familiari per seguire l'affascinante Zefka; il pianoforte che sostiene il canto rimane dietro parzialmente celato da un velario, mentre un attore mima un uomo che vaga per la casa, nervoso e come indeciso sul da farsi. All'apertura del lavoro di Poulenc ritroviamo la donna dell'inizio, che attende ansiosa in una saletta d'ospedale, ferita ad una mano ed attaccata ad una flebo. In questo freddo ed impersonale ambiente si dipana tutto il drammatico confronto della protagonista di La voix umaine con chi l'ha abbandonata, fatto di menzogne e mezze verità da una parte e dall'altra, sino a quando fredde luci non fanno scoprire nel locale accanto la salma d'un uomo, l'amante da lei ucciso. Il suo era dunque solamente un delirio, un dialogo ormai impossibile; e quando sopraggiunge il poliziotto per arrestarla, tenta la fuga ma viene freddata con un colpo di pistola.

Lo spettacolo così impostato da Aliverta – convinto assertore dell'opera a budget ridotti, recentemente apprezzato Festival di Martina Franca per la messa in scena della monteverdiana Incoronazione di Poppea – mostra un'indubbia efficacia in questa seconda parte, drammaturgicamente assai persuasiva; appare invece non ben risolto nella prima, dove non solo si perde l'atmosfera campestre evocata dai versi, ma emergono pure stridenti contrasti tra le intime riflessioni  di Janicek - narrazione frammentaria ma coerente al tempo stesso - ed i due piani recitativi offerti, la perquisizione del poliziotto e l'errare dell'uomo in casa (un fantasma, lo si capisce dopo) che potrebbe magari rappresentare il disorientamento psicologico del giovane contadino. Infatti, ad un certo punto – nel passaggio solo strumentale che rappresenta il culmine della passione tra i due - l'uomo addirittura copula con Zefka, raffigurata non si sa perché come una donna di strada.

Ad ogni modo, la musica riesce nel miracolo di collegare ed attuare ogni cosa: accompagnato al pianoforte dal tocco abile e variegato di Claudio Marino Moretti (direttore di coro della Fenice), il tenore Leonardo Cortellazzi ha dipanato con fine sensibilità e ricchezza espressiva i pensieri di Janicek, mentre il contralto Angela Nicoli ha ricoperto il breve ruolo di Zefka. Il soprano Ángeles Blancas Gulín ha fatto della figura di  Lei - parte tra le più ardue ed impegnative, prerogativa di rare interpreti - uno dei suoi ruoli meglio riusciti, apportandovi una sofferta e febbrile femminilità, e pervadendola di tragico lirismo; ribadendo così, in queste recite veneziane, la naturale predisposizione a raffigurare figure intensamente tragiche. L'Orchestra del Teatro La Fenice era guidata  da Francesco Lanzillotta, che ha ben sottolineato la trasparenza del tessuto strumentale, ed evocato tutte le sfumature emotive della complessa partitura di Poulenc. L'attore Francesco Bortolozzo ricopriva con espressività il ruolo mimato dell'uomo. 

Visto il 06-10-2015
al Malibran di Venezia (VE)